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Una gestione attiva per evitare il crollo? (1a parte)
27/10/2003

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Che i tre anni da inizio 2000 a tutto il 2002 siano stati anni di grande passione per gli investitori è cosa risaputa. Lo si legge ancora oggi sui volti di chi ascolta quando si parla del crollo di Borsa di quel periodo. Gli armadi degli investitori sono pieni di scheletri ed il loro portafoglio di Fondi Comuni permane tinto di un rosso piuttosto profondo.

Tuttavia la cosa che meraviglia maggiormente è il percepire che il disappunto per l’accaduto si accompagna in loro con una sorta di rassegnazione, come se il crollo subito né prevedibile né tantomeno evitabile.

Questa particolare forma di fatalismo la si ritrova soprattutto nei risparmiatori che si sono affidati al risparmio gestito. Ad essi è stata trasmessa la convinzione che l’investimento va visto in un’ottica di lungo periodo (almeno 4 anni), per cui i cali momentanei di Borsa non devono spaventare. Il risultato è che quando si verificano cali che non sono momentanei, ma prolungati, costoro si ritrovano col classico cerino in mano e per parecchio tempo si vedono costretti a rimanere finanziariamente “sott’acqua”, in una posizione assai scomoda.

I motivi per cui l’investimento in Fondi comuni viene mantenuto passivo sono sostanzialmente due: l’impossibilità, a detta degli esponenti del risparmio gestito, di prevedere nel breve-medio termine l’andamento dei mercati e l’esistenza di ostacoli economici (le commissioni di entrata, uscita e switch, che mangerebbero buona parte della performance) ed operativi (tempi tecnici per effettuare le operazioni che con i metodi tradizionali richiedono qualche giorno). Perciò, con un po’ di semplificazione, si può affermare che il compito del promotore è tradizionalmente quello di cercare col cliente il migliore mix di prodotti finanziari (asset allocation) che possano complessivamente corrispondere al grado di rischio e di diversificazione adatto al singolo cliente, per poi mantenere le posizioni aperte per un periodo sufficientemente lungo da consentire di raggiungere rendimenti soddisfacenti.

Che questa metodologia sia stata pesantemente messa in crisi dal crollo dei mercati è cosa che tutti hanno potuto constatare. Lo hanno purtroppo constatato anche i promotori, che stanno continuamente diminuendo di numero.

Prima dell’estate, in occasione di una conferenza a cui ho partecipato come relatore, ho provato a chiedermi se il metodo alternativo a quello tradizionale, cioè una gestione attiva che tenti di cogliere i movimenti di medio periodo dei mercati con spostamenti abbastanza rapidi tra i vari comparti, avrebbe dato risultati.

Ho perciò attuato una simulazione sul periodo dal 1/1/1999 al 31/12/2002. Ricordo che l’andamento dei mercati azionari in quel periodo, come si può notare dal grafico allegato dell’Indice Comit rappresentativo del mercato azionario italiano, ha visto dapprima la fase finale del grande rialzo culminato con i massimi assoluti di marzo 2000, poi un crollo significativo fino a valori ben al di sotto di quelli iniziali. I mercati obbligazionari europei si sono invece comportati in modo meno volatile, ma sostanzialmente opposto. Hanno cioè subito un deciso calo nel 1999, per poi iniziare una salita che a fine 2002 li ha visti recuperare quasi tutto il terreno perduto e tornare quasi ai livelli di inizio ’99.

La nostra gestione attiva si limita ad effettuare switch tra il comparto dei fondi azionari Italia ed il comparto dei fondi monetari area Euro. Si sposta l’intero capitale disponibile sul comparto azionario quando si ipotizza un trend positivo per il mercato azionario italiano, mentre si sposta l’intero patrimonio sul comparto dei Fondi monetari Euro quando si ipotizza un trend negativo per il mercato azionario. Considerando che si sposta l’intero patrimonio ho battezzato questa strategia come “aggressiva”. Per evitare di essere accusato di parzialità ho scelto di non posizionarmi su un fondo particolare, ma di comprare e vendere sempre l’indice medio di ciascuna categoria. Siccome nel panorama delle società di gestione del risparmio il ventaglio delle commissioni è piuttosto variegato, ho ipotizzato di pagare commissioni del 2% del patrimonio ogni volta che si passa sul fondo azionario, mentre nessuna commissione viene pagata quando ci si posiziona sul fondo monetario.

Ovviamente per rendere la simulazione realistica bisogna ipotizzare che i movimenti avvengano sulla base di segnali di acquisto o vendita determinabili a priori, perché a posteriori son tutti bravi. Per la generazione dei segnali ho perciò utilizzato un sistemino automatico costruito con due indicatori molto noti di analisi tecnica applicandolo sul grafico dell’indice Comit della Borsa italiana dal gennaio 1999 al dicembre 2002. La formula operativa è la seguente: posizionarsi sull'azionario quando la media mobile di breve termine si gira al rialzo e contemporaneamente l'indicatore di trend ADX è superiore ad un determinato valore. Si sposta tutto sul monetario quando la media mobile svolta al ribasso.

Le operazioni sono effettuate il giorno successivo la generazione del segnale operativo.

Con questo semplice metodo nei 4 anni presi in esame si effettua una prima operazione di acquisto di fondi monetari e 19 successive operazioni di switch. Lo si può constatare guardando il grafico dell’indice Comit su cui sono stati applicati i segnali operativi: freccia verde quando bisogna spostarsi sull’azionario, paletta rossa quando bisogna uscire dall’azionario per posizionarsi sul fondo monetario. La durata media di ciascuna operazione è stata pertanto di circa due mesi e mezzo, il tempo necessario per cogliere almeno in parte i principali trends di medio periodo sviluppatisi in quegli anni.

Al fine di verificare se una gestione più prudente avrebbe dato risultati migliori ho poi effettuato una seconda simulazione, utilizzando gli stessi segnali di compravendita ma limitando al 50% il patrimonio che deve essere spostato tra azionario ed obbligazionario. Il resto del patrimonio rimane invece sempre investito in modo bilanciato per tutto il periodo, per metà sul Fondo azionarioe per metà sul fondo obbligazionario. Qui ho ipotizzato commissioni di switch del 2% per l’azionario e dell’1% per l’obbligazionario.

A questo punto non resta che presentare i risultati ottenuti. Appuntamento perciò alla prossima settimana.

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