Contro Ogni Logica
28/09/2006
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Stiamo vedendo in questi giorni, sui mercati azionari, un assaggio di quanto sia schizofrenico il comportamento delle borse.
Negli ultimi giorni sono venuti segnali di tendenza dell’economia americana piuttosto preoccupanti. Alcuni indicatori anticipatori si sono avviati verso il territorio che segnala l’imminenza di un forte rallentamento o addirittura di una recessione. Il clima comincia a farsi molto più pesante di quanto si potesse percepire qualche mese fa.
L’ipotesi di “soft landing”, cioè di moderato rallentamento della crescita ad un ritmo maggiormente sostenibile, propagandata dalla Federal Reserve, comincia fa storcere il naso ad un numero sempre maggiore di esperti, più propensi a considerare la possibilità, se non la probabilità, che l’atterraggio sia molto più “hard” ed arrivi addirittura a portare alla crescita zero per qualche trimestre nel 2007.
I mercati obbligazionari confermano le attese recessive continuando il trend rialzista iniziato a maggio, che ha portato i tassi a lunga, sia in Europa che in America, nei pressi del 4%, perpetuando l’anomalia della curva dei tassi. In Europa abbiamo ormai un appiattimento quasi orizzontale, con i tassi a 10 anni allo stesso livello di quelli a 2 anni, mentre in USA abbiamo addirittura una decisa inversione, con i tassi a 2 anni decisamente più alti dei decennali. Si sa, e l’abbiamo scritto da tempo, che situazioni simili rivelano una previsione di recessione da parte del popolo dei bonds.
Invece i mercati azionari, dopo un lieve sbandamento nella parte finale della scorsa settimana, quando sono usciti i peggiori dati economici, hanno mostrato di continuare a non credere all’ipotesi recessiva, proseguendo il viaggio verso i massimi dell’anno. L’indice guida americano, SP500, in questi giorni ha trascinato al rialzo tutti gli altri mercati andando a violare i massimi del maggio scorso e dirigendosi verso 1.340 punti.
L’azionario punta sul “soft landing”, mostra i muscoli e ripristina il trend rialzista che ormai sta per compiere il quarto anno di vita.
Hanno contribuito a questa iniezione di fiducia gli indici che misurano l’inflazione, che hanno mostrato una certa propensione a tranquillizzarsi, anche per merito del prezzo del petrolio, che ha subito una notevole caduta delle quotazioni, in alcuni momenti anche al di sotto di quota 60 dollari.
Il ragionamento di chi in USA non vuole cedere al pessimismo è il seguente: se cala il petrolio rallenteranno le pressioni inflazionistiche senza bisogno di ulteriori rialzi nei tassi. Le imprese potranno ricostituire i propri margini, la Fed potrà, magari non subito, riabbassare un po’ i tassi e la crescita continuerà al suo ritmo potenziale intorno al 3% annuo. Perciò che motivo c’è di vendere le azioni?
Occorre però verificare la logica che sta dietro tale ragionamento.
I lettori ricorderanno che più volte abbiamo sottolineato come in questi anni di forti aumenti del prezzo del petrolio abbiamo constatato, con una certa sorpresa, che gli effetti inflazionistici sono stati molto contenuti. Abbiamo anche spiegato le possibili ragioni, che ora non stiamo a ripetere.
Quel che non riesco a capire è il motivo per cui il rincaro del petrolio non porta pressioni inflazionistiche, mentre il calo del petrolio debba portare disinflazione.
Inoltre approfondiamo un attimo le motivazioni alla base del ridimensionamento dei prezzi del petrolio. Non è certo dovuto a nuove scoperte o aumenti di produzione, e neppure ad un rasserenamento del clima geopolitico mondiale. L’aumento della domanda continua ad essere superiore all’incremento dell’offerta.
Quel che si nota è la riduzione delle attese speculative rialziste nelle ultime settimane. Si parla di un fondo hedge americano piuttosto grosso che si sia fatto beccare dalla correzione dei prezzi con una certa sovraesposizione rialzista e che sia stato costretto a liquidare ingenti posizioni per non fallire. Inoltre pare che proprio le attese di recessione o forte rallentamento dell’economia mondiale, che dovrebbero almeno in parte frenare la produzione industriale anche nei paesi più grintosi (Cina ed India in primis), abbiano portato parecchi operatori posizionati al rialzo a prendere beneficio, attendendosi un calo nella domanda futura di greggio.
Si tratta evidentemente di una motivazione che non dovrebbe rallegrare gli investitori azionari, poiché da che mondo è mondo ad una recessione si accompagna il calo dei corsi azionari, e non l’aumento.
Invece le borse salgono, smentendo i mercati obbligazionari e, a mio parere, anche la logica. Si tratta di un comportamento principalmente emotivo che può provocare una estensione del trend fino a realizzare i tipici eccessi che causeranno poi una marcata flessione, quando (e se) la recessione si manifesterà.
La realizzazione di una ulteriore gamba rialzista potrebbe essere addirittura favorita dalla presenza sul mercato di molti operatori dotati di buon senso che hanno liquidato parte delle posizioni in estate proprio in previsione di un rallentamento dell’economia accompagnato dall’inversione ribassista delle borse.
Costoro adesso si ritrovano spiazzati dal raggiungimento di nuovi massimi e debbono scegliere se stare a guardare oppure rincorrere i prezzi per non perdere il treno del rialzo. Non dimentichiamo che i gestori dei fondi sono legati al benchmark e non possono permettersi di farsi staccare troppo dagli indici di riferimento, pena la perdita di credibilità.
Perciò se il mercato saprà stare al di sopra dei livelli di maggio per un po’, è prevedibile un nuovo impulso significativo, dovuto proprio alla corsa agli acquisti di chi non vuole essere tagliato fuori.
E’ evidente che il cerino acceso finirà in mano a qualcuno, ma nessuno se ne preoccuperà, dato che, ovviamente, tutti penseranno di essere in grado di rifilarlo a qualcun altro.