Telecom: tra Pasticci e Polveroni
21/09/2006
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Le vicende degli ultimi giorni, con le dimissioni di Tronchetti Provera da presidente Telecom e la cooptazione del “deus ex machina” Guido Rossi al timone della società, il coinvolgimento di Prodi e del suo consigliere Rovati in una oscura vicenda di condizionamento sotterraneo delle strategie aziendali del gruppo Telefonico e l’interessamento del Parlamento che ne ha fatto argomento di infuocata discussione politica, impongono che si torni sull’argomento anche questa settimana.
La vicenda, che certamente si arricchirà di altri sconcertanti particolari e di gossip politici di quart’ordine, rispecchia la incredibile capacità italiana di trasformare in farsa anche le cose più serie.
Prodi è riuscito a dare l’impressione a qualcuno di non saper controllare la sua maggioranza, come ha già dimostrato più volte in questi mesi, e di non saper nemmeno controllare quel che combina il suo consigliere personale che propone piani di ristrutturazione a nome proprio ma utilizzando la carta intestata della Presidenza del Consiglio.
Da altri è stato invece dipinto come un fine giocatore di scacchi nella partita del potere, con un’abilità tipicamente democristiana di andreottiana memoria.
Comunque sia, la sua immagine e quella del Governo non ne esce certo rafforzata.
Mi ha però abbastanza sorpreso che nel dibattito politico che si è sviluppato, quasi tutti abbiano dato per scontato delle cose che scontate non lo sono affatto.
Mi riferisco innanzitutto al fatto che in un paese ad economia capitalista il governo non debba interessarsi di quel che ha in programma di fare il principale gruppo industriale. Quasi tutti hanno bollato il sia pur maldestro tentativo del governo di influenzare le decisioni strategiche del gruppo Telecom come una interferenza proibita, e Prodi è stato trattato come un bambino sorpreso con le mani nella marmellata.
Il liberismo economico, inteso come possibilità dei gruppi societari di fare e disfare strategie e programmi rispondendo unicamente al “mercato”, per cui ogni scelta è valida se crea profitti e viene premiata dalla Borsa, è diventato ormai un dogma consolidato e indiscutibile.
Eppure su tutti i manuali di economia l’intervento dello Stato nell’economia è giustificato con la tutela dell’interesse pubblico contro i possibili abusi del pur legittimo interesse privato. Oggi l’affermare che oltre all’interesse degli azionisti esiste anche un interesse collettivo è diventato quasi una bestemmia e chi lo dice passa immediatamente per comunista.
Eppure questo concetto ha addirittura dignità costituzionale, dal momento che l’art. 41 della Costituzione, quando stabilisce che l’attività economica privata è libera, aggiunge che “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale”.
All’art. 43 è poi previsto addirittura, sempre ai fini di utilità generale, la nazionalizzazione o l’espropriazione di imprese che si riferiscano a servizi pubblici essenziali.
In ambito europeo la Francia è l’emblema di questo interventismo ed ha una tradizione consolidata di partecipazioni statali nei principali settori strategici, senza che ciò abbia causato alcun deterioramento di efficienza o impoverimento nazionale. Anzi.
Perciò il timore del Governo che con la vendita di Tim tutta la telefonia mobile passi in mano straniera e l’intenzione di ostacolare tale esito, se si ritiene quello telefonico un servizio di preminente interesse pubblico, sono del tutto legittimi. D’altra parte il governo, a differenza dei mercati, risponde al popolo italiano e dal voto popolare trae legittimazione.
Personalmente non condivido i timori del governo, perché, come ho già scritto recentemente, l’interesse pubblico a mio parere è quello di avere servizi efficienti ed a prezzi più bassi possibili per tutti gli italiani, non che i lauti utili della telefonia mobile, garantiti da inefficienze ed ostacoli più o meno occulti alla concorrenza, affluiscano in mani italiane. Preferirei perciò che il governo intervenisse sulla regolamentazione e sui poteri delle autorità di controllo, per combattere efficacemente le forme di limitazione della concorrenza che sono sotto gli occhi di tutti.
Però è legittimo che il governo si occupi di queste cose senza vergognarsene e non ci sarebbe nulla da scandalizzarsi se il progetto Rovati, che ipotizza una nazionalizzazione delle infrastrutture di telefonia, gas ed energia elettrrica, da dare in concessione a imprese private fornitrici dei servizi, invece che essere lestamente sconfessato da Prodi come infamante, diventasse un progetto dell’intero governo, attuato in seguito ad un dibattito che partisse dalla constatazione che la privatizzazione di molti servizi un tempo gestiti dal monopolio pubblico in molti casi non ha portato a miglioramenti di efficienza, ma ha ingrassato gli azionisti di queste aziende divenute società per azioni, con buona pace per il consumatore che continua a pagare bollette sempre più salate.
Certo, bisognerebbe che il governo avesse maggior coraggio e convinzione e si assumesse le responsabilità politiche, anziché far agire nell’ombra cosiglieri del premier a titolo personale, salvo poi sconfessarli se le trame vengono alla luce. Troppo facile, e troppo democristiano.