Teleconomy: Al Passo con i Tempi (di Magra)
14/09/2006
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In questi giorni il nostro mercato è condizionato dall’ennesima puntata della saga del Tronchetti.
Il gruppo Telecom è nuovamente alle prese con l’ennesimo giro di valzer nel disperato tentativo di salvare l’investimento che il grande manager fece nel 2001, quando rivelò da Colaninno e Gnutti il gruppo telefonico pagandolo l’equivalente 4,2 euro per azione, molto di più di quanto il mercato lo valutasse.
Ricordo che allora sui giornali si magnificò l’impresa del manager di Pirelli notando che se il Tronchetti aveva deciso di pagare molto di più del valore espresso dal mercato era perchè aveva in mente un progetto per valorizzare l’investimento.
Come sia andata abbiamo visto. L’affare l’hanno fatto i due raider bresciani, che hanno monetizzato una certa plusvalenza dall’ardita scalata al gruppo telefonico, prima dellultima mazzata sul comparto tecnologico del 2002, mentre Tronchetti non ha mai visto in borsa i prezzi di carico del suo investimento. Infatti, tra alti e bassi (prevalentemente bassi) il valore delle azioni Telecom è ancora sui livelli del 2002 e la società non ha saputo approfittare della rivalutazione della borsa che negli ultimi 4 anni ha beneficiato quasi tutti i titoli del listino milanese.
Che le cose non andassero per il verso giusto il Tronchetti l’aveva capito già nel 2004, quando tentò il gioco di prestigio della fusione Tim-Telecom, propagandando la parola magica della “convergenza” tra telefonia fissa e mobile come il toccasana per la creazione di valore a vantaggio di tutti i soci. La stampa specializzata e gli analisti applaudirono quasi unanimi al progetto, ipotizzando una possibile rivalutazione del titolo Telecom post-fusione di circa il 20% dai 3 euro circa di fine 2004). A dire il vero non tutti furono entusiasti. Dal coro dei plaudenti ci siamo distinti noi di Borsaprof.it, come si può constatare dall’articolo pubblicato nel dicembre 2004 (si veda
http://www.borsaprof.it/commenti_analisi.asp?id=199).
Gli avvenimenti successivi ci diedero ragione. Le sinergie erano piuttosto fumose e mascheravano il tentativo di accorciare la catena di controllo per far arrivare prima gli utili a monte della catena di controllo, nel tentativo di fronteggiare così il cospicuo indebitamento delle controllanti.
L’operazione non riuscì a raddrizzare la situazione, come impietosamente il mercato ha certificato, facendo svivolare il valore di Telecom fino a circa 2 euro di qualche settimana fa. Una perdita di un terzo del valore, con buona pace di quei risparmiatori che hanno creduto alla favola della convergenza.
Il mercato ha perciò imposto a Tronchetti di tentare qualche altra operrazione per salvare il salvabile, specialmente ora che i tassi di interesse cominciano a salire e l’indebitamento deve essere ridotto.
Ecco allora un’altra parola magica: “riassetto”, che in termini più ruspanti viene anche detto “spezzatino”.
In pratica, da quel che si è capito, verranno create due nuove società alle quali finirebbero due pezzi non trascurabili dell’attuale Telecom Italia: una che conterrà la telefonia mobile (ricreando così la Tim che 18 mesi fa è stata cancellata), l’altra che conterrà la gestione della rete telefonica nazionale, più o meno quello che è il GRTN per l’energia elettrica. In Telecom Italia rimarrebbero quindi solo i servizi al pubblico: telefonia fissa, trasmissione dati (Alice) e soprattutto l’informazione multimediale, grazie agli accordi con la Sky di Murdoch e quel che in futuro si inventerà per far pagare ai consumatori tramite internet nuovi servizi e ciò che adesso si ottiene gratis con la banale tv.
La speranza è quella che il mercato, che sottovaluta tutte queste potenzialità racchiuse in Telecom, riconosca meglio il valore potenziale dei diversi business presentandoglieli separatamente.
Se il progetto riuscirà è presto per dirlo.
Da parte mia le perplessità non sono poche. Innanzitutto il valore della rete è abbastanza limitato. Non è un bene che può essere ceduto, poiché di interesse pubblico, è regolamentato dall’Autority che impone le tariffe di interconnessione per l’affitto dell’ultimo miglio agli altri operatori telefonici. Insomma come business ha poca possibilità di portare utili, ma almeno è sicuro.
La telefonia mobile è oggi una gallina dalle uova d’oro grazie alla prodigiosa diffusione del cellulare e soprattutto alle maglie larghissime che le autorità di controllo hanno lasciato agli operatori presenti sul mercato italiano, che praticamente non si fanno concorrenza. Fin che dura… Però siamo ormai al limite dei possibili sviluppi. E’ difficile pensare che il cellulare possa continuare a crescere al ritmo degli ultimi anni.
Mi pare evidente che l’averla scorporata preluderà alla futura cessione. Si stima un valore tra i 35 e i 40 miliardi di euro, che permetterebbero a Telecom di azzerare l’indebitamento.
Ma non credo che sarà così facile, poiché, dato per scontato che nessun italiano possa azzardarsi a spendere tutti quei soldi, già si sentono le litanie contro la vendita agli stranieri dell’unica società italiana rimasta di telefonia mobile. Personalmente le trovo abbastanza stupide, anche perché nessuno obiettò quando Omnitel passò agli inglesi di Vodafone e nemmeno quando Wind fu ceduta ad un fondo egiziano. In un mondo globalizzato e nel contesto dell’Unione Europea, bisognerebbe preoccuparsi dell’aumento della concorrenza, per far scendere il costo del servizio, più che del passaporto del proprietario.
Comunque l’aria che tira è quella che non permetterà molto facilmente a Tronchetti di sfilare la telefonia mobile e più il tempo passa più il prezzo di vendita è destinato a scendere.
Riguardo a quel che resterà di Telecom Italia, tutto dipenderà dalla scommessa sulla “media company”. Infatti la telefonia fissa è ormai un business decotto e senza prospettive, ora che i consumatori stanno scoprendo che tramite internet con la tecnologia VOIP che si sta diffondendo, si può telefonare praticamente gratis con la stessa qualità delle telefonate tradizionali. La trasmissione dati su cavo telefonico è ora pesantementemente minacciata dalla nuova tecnologia Wi-Max, che a costi irrisori consente di fornire la banda larga senza fili e senza fare neanche un buco per terra e di arrivare anche dove l’ADSL non arriva. Tra pochissimo il Vi-Max diventerà per le connessioni ADSL tradizionali quel che il VOIP è diventato per la telefonia tradizionale: un concorrente formidabile. Da questo lato quindi i ricavi di Telecom sono destinati a declinare inesorabilmente.
Il business più promettente, ma meno certo, è quello dei media, dove Tronchetti ha deciso proprio in questi giorni dipuntare tutte le sue carte. Qui però bisognerà vedere quanto il consumatore sarà disposto a pagare per certi servizi che possono essere fruiti con modalità diverse (internet, satellite, digitale terrestre, tvfonino, ecc..). Si verrà a creare una inevitabile concorrenza tra i vari media per trasmettere contenuti analoghi. Non riesco ad immaginare soldi a palate per tutti. Non sarà facile per il canale internet sottrarre utenti agli altri media, che vantano una presenza già consolidata e l’abitudine degli utenti acquisiti.
Vedremo.
Non possiamo però fare a meno di notare che questo progetto è esattamente il contrario di quello che venne attuato soltanto 18 mesi fa. Non c’è che dire: il management e le banche d’affari che allora consigliarono la fusione, che sono in gran parte le stesse che ora consigliano lo spezzatino, non ci fanno una gran figura.
Su tutto emerge anche la figura del povero investitore, che sembra essere preso per il naso e portato a spasso all’inseguimento di chimere che dietro le parole inglesi ed i concetti di alta finanza sembrano in realtà nascondere la voglia del Tronchetti di disfarsi in qualche modo di un investimento sbagliato.