Il mese di settembre si sta mostrando sui mercati azionari mondiali delle settimane piuttosto agitate, con violenti cambi di direzione ed aumento della volatilità intraday.
Un mio semplice indicatore, che misura la volatilità tramite la distanza tra minimo e massimo della candela, ha mostrato che la settimana appena terminata è stata per l’indice USA SP500 la più volatile dal lontano mese di giugno 2020, quando il mondo era nel pieno del terrore pandemico.
Questo indicatore, che aveva raggiunto già a marzo valori di picco di poco inferiori a quelli della settimana scorsa, aveva poi segnalato un deciso ridimensionamento della volatilità durante l’estate, ma è riesploso proprio in questo mese, tradizionalmente difficile e assai spesso negativo per i mercati azionari.
Con questo clima di agitato disorientamento, gli indici azionari USA hanno subito un duro colpo, con saldi settimanali negativi che hanno interamente annullato le performance incoraggianti della settimana precedente: -4,77% per SP500 e -5,77% per Nasdaq100.
Se negli USA si sono viste le peggiori performances settimanali, va detto che tutti gli indici principali del mondo, con la sola eccezione dell’indice italiano Ftsemib (+0,07%) hanno accusato cali più o meno pesanti. L’Europa, rappresentata nel suo complesso da Eurostoxx50, ha segnato -1,95% settimanale, mentre anche dall’Asia sono arrivate perdite pesanti (Shanghai -4,15% settimanale).
La calamita del ribasso è stata il dato sull’inflazione core USA peggiore del previsto, che ha spazzato via le speranze, che si erano rafforzate a fine agosto, di un possibile rallentamento del ritmo dei rialzi dei tassi da parte delle banche centrali.
Ora il barometro FED, che misura le aspettative dei mercati sulle prossime mosse di politica monetaria della principale banca centrale del globo, ci dà per certo un rialzo dei tassi di almeno 0,75% al termine della riunione del FOMC di mercoledì prossimo. C’è addirittura qualche probabilità, minoritaria, che il rialzo sia di un punto percentuale secco.
Se sarà di 75 punti base i tassi ufficiali passeranno dall’attuale 2,50% al 3,25% e si avvieranno a convergere verso il 4% o anche più entro la fine dell’anno.
Intanto si accumulano segnali di indebolimento del ciclo economico USA, con probabilità crescenti di recessione in arrivo o addirittura già presente. L’ufficio USA deputato a certificare la recessione, il NBER, solitamente la comunica a posteriori, poiché elabora una serie di studi di conferma che richiedono alcuni mesi. Il dato empirico e più immediato che gli analisti usano per individuare la recessione è invece la diminuzione del PIL per almeno due trimestri consecutivi. Questo evento è già capitato poiché il primo trimestre ha fornito un calo del PIL USA di -1,6% annualizzato, mentre il secondo è sceso di -0,6% annualizzato. Secondo questo indicatore gli USA sono già in recessione, anche se Biden, in campagna elettorale per le elezioni di Mid Term di inizio novembre, parla di economia USA ancora forte e Powell (che non può smentire platealmente il suo presidente) si limita a sperare che la recessione non arrivi. E anche se arriva la cosa più importante è la lotta all’inflazione.
Il problema è che l’attività immobiliare, volano dell’economia, è già in calo profondo; le richieste di mutuo, a tassi sempre più inaccessibili, si sono inaridite; il sentiment delle piccole imprese è depresso a livelli che in passato hanno sempre accompagnato una recessione; gli indicatori di sentiment dei manager (PMI) sono ormai scesi in terreno che anticipa una recessione; la curva dei rendimenti è invertita da settimane, triste presagio, quasi infallibile, di recessione imminente. Solo il mercato del lavoro, grazie alle stime ambigue dell’Ufficio Statistico del Lavoro USA, sembra ancora robusto, anche se, scavando tra i numeri presentati, si scopre che i posti di lavoro creati negli ultimi mesi sono perlopiù a tempo determinato e crescono le conversioni forzate di lavori a tempo pieno in lavori part-time. Infine, il 65% delle piccole imprese ha già sospeso le assunzioni.
Potrei continuare, ma credo che basti.
In questo contesto di pessimismo crescente la restrizione monetaria della FED per abbattere l’inflazione prosegue imperterrita ed a settembre aggiunge il raddoppio da 47 a 95 mld$ del Tightening, il ritmo di riduzione dei titoli di stato in pancia alla FED, che drena liquidità dal sistema.
Se consideriamo che gli effetti sull’economia delle politiche monetarie hanno un ritardo medio di 6-9 mesi per trasmettersi all’economia, significa che la manovra di rialzo dei tassi, essendo iniziata a marzo, sta cominciando appena ora a mordere, ed i rialzi esagerati degli ultimi mesi impatteranno sull’economia solo in inverno, quando la FED, peraltro, potrebbe continuare ad inasprire le condizioni finanziarie del sistema USA infischiandosene della recessione.
Personalmente ritengo che il rischio che le banche centrali commettano un doppio fallo, per usare un termine tennistico, stia crescendo rapidamente.
Dopo aver sbagliato il servizio quando non ha creduto all’inflazione, permettendole di esplodere e consolidarsi nelle aspettative, la FED ora ne sta sbagliando un altro in direzione contraria, continuando a massacrare l’economia con la restrizione monetaria, con risultato di amplificare la tendenza recessiva che già si vede con evidenza, e col rischio di un avvitamento verso una depressione paragonabile a quella del 2008.
Per questo il mercato ribassista non riesce a svoltare e ogni rimbalzo muore sulle resistenze grafiche o appena arriva una brutta notizia inattesa, come quella della scorsa settimana sull’inflazione.
Il temporale che si è visto sui listini la scorsa settimana, se mercoledì la FED proseguirà con una narrazione aggressiva, rischia di trasformarsi in un nuovo uragano ribassista.
Il motivo è che venerdì scorso l’indice SP500 è penetrato chiaramente al di sotto di quota 3.885, arrivando fino ad un minimo di 3.837.
Lo sfondamento di 3.885 è importante perché completa una figura ribassista di testa e spalle, che ha come primo obiettivo la discesa ai minimi di giugno di area 3.630 e come arrivo finale valori al di sotto dei 3.500 punti.
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