A metà del mese di giugno, tre mesi dopo che i mercati azionari mondiali hanno raggiunto i minimi del violento ribasso generato dalla esplosione della Pandemia e cercato di voltare pagina con un recupero che a tratti è sembrato prodigioso e in giugno ha toccato livelli di euforia eccessiva, che in questi giorni viene purgata con una correzione.
Le borse occidentali dopo la metà di marzo hanno cercato di portarsi già “oltre la recessione”, anche se questa è appena iniziata, ed “oltre il virus”, anche se questo non se n’è ancora andato.
L’obiettivo mi è parso piuttosto ardito, dato che la presenza della recessione in USA è stata appena certificata dal National Bureau of Economic Research (Nber), l’ente che in USA ha il compito di decidere ufficialmente la data di inizio e fine. L’8 giugno ha datato a febbraio 2020 l’inizio della recessione americana, dopo ben 128 mesi di crescita economica.
Va detto che anche gli analisti economici sono piuttosto cauti e continuano ogni settimana a rivedere in peggio le stime sul PIL di quest’anno e sugli utili aziendali. Circa gli utili delle società del paniere SP500 per il secondo trimestre 2020 la stima di consenso parla ormai di oltre il -40% rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente. Il fatto che il 31 marzo questa stima fosse del -14% evidenzia il forte deterioramento della percezione degli analisti, per i quali occorrerà attendere il 2021 per rivedere salire gli utili.
Ma anche le previsioni sulla recessione sono continuamente riviste al ribasso. Il consenso ormai parla di un calo del PIL 2020 in USA del -6%, come minimo, mentre a marzo si parlava di -3%. Ma questa è la sintesi dello scenario ottimista, con il virus che scompare presto e non ritorna in autunno. In questo caso il 2021 dovrebbe consentire una ripresa in grado di riportare l’economia quasi ai livelli del 2019. Però tutti ormai tendono ad ipotizzare anche un secondo scenario, che considera una seconda ondata di coronavirus autunnale, che i virologi, in grande maggioranza, considerano molto probabile. In questo caso le stime peggiorano verso la recessione a doppia cifra anche in USA, oltre che in Europa, e rinviano la svolta al dopo vaccino, quando arriverà.
A ben vedere sono le due classiche ipotesi di inversione congiunturale a forma di V (la prima) oppure di U (la seconda).
Il mercato azionario, quando si è reso conto che il virus avrebbe fermato l’economia globale con il lockdown per almeno un paio di mesi, non ha esitato a disegnare la parte sinistra della lettera (sia la V che la U hanno la parte sinistra molto simile), mettendo negli indici in meno di un mese un rapido crollo da -35% su SP500 e da -30% sul tecnologico Nasdaq100. In Europa, dove l’epidemia è arrivata prima con epicentro in Italia, il calo è stato anche peggiore: -40% per Eurostoxx50 e -45% per il nostro Ftse-Mib.
Sia chiaro. Non è stato il bilancio sanitario, le sofferenze di molte migliaia di malati e il numero dei morti a spaventare. Le borse cinicamente non si preoccupano delle sofferenze umane, ma solo di sofferenze finanziarie. In questo caso hanno scontato l’effetto negativo sui conti aziendali della forzata chiusura dei battenti per alcune settimane per metà delle imprese mondiali.
Ma a partire dalle seconda metà di marzo, improvvisamente, i mercati hanno cominciato a scontare il dopo-covid, e nella forma più radiosa possibile, quella della ripresa a V. Il motivo va cercato nel rombo di due potenti motori. Quello del virus che finalmente cominciava a girare in retromarcia e faceva ipotizzare agli ottimisti come Trump che non c’era più motivo per rimanere chiusi in casa, perché il virus si sarebbe presto ammansito fino a scomparire con il caldo estivo, come fanno normalmente altri coronavirus meno letali. La sua scomparsa avrebbe presto consentito il ritorno alla “normalità” produttiva. Insomma: “Andrà tutto bene!”. Il secondo motore è quello della reazione allo shock produttivo da parte dei governi e delle banche centrali. Questa volta, rispetto, ad esempio, all’ultima grande recessione globale vissuta, quella del 2008-2009, la reazione è stata molto più rapida e potente. I governi hanno immediatamente stanziato ingenti somme a debito per inondare di sovvenzioni, garanzie e prestiti l’economia bloccata per l’emergenza virus, mentre le banche centrali hanno varato manovre di creazione di liquidità di dimensioni mai viste prima, per poter finanziare i debiti degli stati e delle imprese in crisi. In percentuale del PIL di ciascuno, la media del valore dei provvedimenti di sostegno attuati dai Governi dei principali paesi del G20 è, al momento, di circa il doppio rispetto all’entità della recessione prevista. Per gli USA è addirittura di più.
Date queste premesse, è evidente che, se il virus si calmasse presto, gli aiuti arrivassero in tempo per evitare ogni possibile fallimento, e lo stop forzato non provocasse danni strutturali alla catena della produzione e del commercio mondiali, potremmo assistere ad uno “stop & go” con la seconda fase (go) altrettanto veloce della prima, e con in più gli effetti di “doping” dei sovrabbondanti regali monetari, in grado di cancellare persino il ricordo della recessione.
E’ esattamente questo lo scenario che i mercati hanno abbracciato a partire dalla seconda metà di marzo.
Tutto è sembrato andare a gonfie vele fino alla prima settimana di giugno. Ma proprio quando il Nasdaq100 ha migliorato il suo massimo storico, SP500 è tornato ai valori di inizio anno e l’indice europeo Eurostoxx50, seppur meno dinamico dei cugini americani, ha portato il suo recupero a circa due terzi del terreno perduto col crollo di febbraio-marzo, e gli osservatori hanno rivisto segnali di eccesso rialzista sui principali oscillatori che misurano la forza del trend, ecco che i due motori che hanno spinto l’entusiasmo dei mercati da aprile a giugno, hanno cominciato a perdere giri.
Il virus in giugno sembra che abbia smesso di arretrare, con il numero di nuovi contagi nuovamente in espansione nel mondo per colpa soprattutto del Brasile, dove la situazione, anche politica, pare fuori controllo e Bolsonaro è sempre più tentato di accentuare la repressione contro le proteste popolari, mentre censura i dati sull’epidemia. Anche nel resto dell’America Latina e Caraibica ed in India la curva sta salendo.
Ma la novità della scorsa settimana è che anche in USA la marcia indietro del virus sembra essersi arrestata. La curva dei casi ufficialmente ancora attivi (contagiati meno morti e guariti), che sembrava aver raggiunto un picco a fine maggio ed era diminuita per qualche giorno ad inizio giugno, da oltre una settimana, con l’arrivo degli effetti di un allentamento forse prematuro del lockdown e delle manifestazioni popolari di protesta contro la brutalità razzista di troppi poliziotti, ha ripreso a salire e si sta riportando nei pressi del record di 1.180.000 casi attivi del 30 maggio.
Anche il secondo motore di euforia (l’helycopter money delle banche centrali) ha visto una battuta d’arresto mercoledì 10 giugno, dopo la riunione mensile del FOMC della Federal Reserve e la Conferenza Stampa di Powell, che ha risposto chiaramente che nulla lascia pensare che la ripresa debba essere a forma di V, che le incertezze permangono e sono destinate a durare, e che nell’incertezza la politica monetaria della FED non cambia.
Powell non è Draghi, che era colomba di natura, portato ad essere accomodante fino a prova contraria. Powell invece sembra più propenso a mantenere immutata l’impostazione monetaria finché non sopraggiungono novità. L’incertezza portava Draghi a muoversi in senso accomodante, mentre Powell la interpreta come un motivo per attendere. Oltretutto deve continuamente mostrare di non essere schiavo di Trump, il quale non fa mistero di volere una FED sempre e comunque accomodante.
Powell ha così dato un colpo di freno agli entusiasmi sul futuro e congelato l’attuale ritmo del Quantitative Easing fino a quando non arriveranno evidenze di ulteriore deterioramento dell’economia USA. La delusione dei mercati, che sono come Trump, si è scaricata il giorno seguente con vendite massicce da parte di chi ha intascato i profitti del rally primaverile. E’ iniziata così una fase correttiva dell’esteso recupero partito dai minimi di marzo.
Però io penso che il mercato molto difficilmente si deteriorerà al punto da annullare tutto quel che ci ha fatto vedere in aprile e maggio.
Forse si è portato un po’ avanti nel lavoro, ed ora deve prendersi una pausa, ma ci sono delle ragioni dietro il comportamento diverso dal solito, di fronte ad una recessione diversa dal solito.
L’attuale recessione è diversa da tutte quelle che l’hanno preceduta. Le altre sono state recessioni congiunturali giunte al culmine della crescita e generatesi per naturale e graduale inversione del ciclo economico in un arco di tempo di diversi mesi.
Quella prodotta dalla pandemia è stata una recessione indotta in modo quasi istantaneo dai provvedimenti governativi che hanno imposto la chiusura delle industrie. La perdita di PIL sarà drammatica, ma potrebbe essere solo temporanea, poiché appena il lockdown viene rimosso, la struttura produttiva può riprendere a pieno ritmo in quasi tutti i settori.
Questa volta le autorità governative e monetarie hanno adottato provvedimenti salvatutto di portata mai vista prima e con rapidità estrema, proprio perché la recessione si è manifestata in modo evidente e rapido. Queste misure potrebbero riuscire ad impedire i fallimenti a catena in grado di creare una crisi finanziaria e creditizia diffusa, e di generare l’avvitamento tipico delle recessioni peggiori.
La Pandemia ha costretto tutti a modificare la nostra vita. Tra i tanti cambiamenti a cui ci siamo dovuti abituare, molti sono stati un’accelerazione di processi in corso già prima del virus: la digitalizzazione della comunicazione, il lavoro a distanza, il commercio elettronico, lo sviluppo dei big data. Sono evoluzioni che hanno rappresentato vera e propria manna dal cielo per le grandi società tecnologiche Over the Top del Nasdaq100, che pesano assai sugli indici azionari USA. La recessione interesserà soprattutto molta old economy, ma favorirà l’economia digitale, e forse, almeno in Europa, l’economia della sostenibilità ambientale. Per questo gli indici potrebbero continuare a salire verso nuovi massimi storici anche prima che la recessione venga dichiarata terminata.
E’ vero che il recupero attuato da marzo alla prima settimana di giugno pare essere stato esagerato. Ma quando il mercato esagera, rispetto al buon senso, fornisce sempre due messaggi: uno di cautela, poiché gli eccessi non possono durare all’infinito, e necessitano di essere digeriti con una fase di correzione; ma l’altro è un’indicazione di grande forza, perché un mercato in grado di recuperare oltre il limite della prudenza sta urlando il cambiamento della sua percezione del futuro.
Pertanto la correzione, se si manterrà tale e non arriveranno sorprese troppo indigeste, potrebbe richiamare altri investitori e fornire nuova energia al rialzo.
La sorpresa più indigesta può farla il coronavirus in autunno. Il mercato si aspetta che non torni a colpire con la violenza di questo inverno. Magari rifaccia capolino in versione più gentile, come uno dei soliti raffreddori invernali, ma non di più. Una presenza tollerata dal nostro fisico e soprattutto dalle autorità sanitarie. Il mercato ora non prende in considerazione una nuova esperienza generalizzata di lockdown su vasta scala, che provocherebbero una seconda botta recessiva in grado di gelare i germogli di ripresa. Se capitasse i governi dovrebbero affrontare una nuova emergenza sanitaria ed economica, ancora senza vaccino. Probabilmente non avrebbero la stessa possibilità attuale di ricorrere a nuovo debito e le banche centrali di continuare a creare moneta. I mercati sarebbero costretti ad una presa d’atto molto violenta, con arretramenti molto significativi, probabilmente al di sotto dei livelli raggiunti a marzo. Sarebbe la classica tempesta perfetta.
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