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LE AMBIGUITA' DELL'ITALIA EUROPEISTA
12/09/2019

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Se qualche italiano il 7 agosto scorso, solo poco più di un mese fa, fosse partito per una vacanza lontano dall’Italia e dalle notizie politiche nostrane, avrebbe lasciato un paese in grande difficoltà, con un Governo in carica da 15 mesi, guidato (si fa per dire) da un Presidente del Consiglio, l’Avv. Giuseppe Conte, in affanno a mediare sull’applicazione di un contratto firmato da Salvini e Di Maio, i due leader sovranisti di Lega e M5S, per raggiungere obiettivi tra loro lontani ed a volte incompatibili, con l’unico collante rappresentato dall’ostilità nei confronti dei governi precedenti e delle istituzioni parlamentari, nonché dell’Unione Europea, che volevano rivoltare come un calzino oppure uscirne, imitando la Gran Bretagna. Il più truce dei due, Salvini, dopo da due anni di incessante campagna elettorale in tutte le piazze e le spiagge d’Italia, era reduce da un clamoroso successo alle elezioni per il Parlamento Europeo, che gli aveva regalato il raddoppio dei consensi (34%) rispetto ai risultati ottenuti nel marzo dello scorso anno alle elezioni politiche italiane (17%). Esattamente il contrario del leader penta stellato Di Maio, restio ai bagni di folla e più portato a frequentare i palazzi del potere, che si era visto dimezzati i consensi e, come un puglie suonato, pareva alle corde, in balia dell’alleato-avversario a cui aveva ormai dovuto delegare gran parte dell’iniziativa governativa, limitandosi soltanto a bloccare quei provvedimenti che il suo Movimento non poteva proprio digerire.

In quei giorni il Governo si accingeva, dopo le vacanze, ad inventarsi una faticosissima manovra economica con obiettivi giganteschi e scarse risorse disponibili, destando la preoccupazione dell’Europa e dei mercati finanziari.

Se il nostro ipotetico viaggiatore fosse tornato dal suo viaggio in questi giorni sarebbe certo rimasto di sasso nel constatare che Conte è ancora a Palazzo Chigi, ma alla guida di un altro governo, e con un ruolo diametralmente opposto al precedente, intento  ad orchestrare, con piglio da grande statista, una maggioranza che ha sostituito la Lega con il PD e qualche rimasuglio ancor più a  sinistra. Il sovranismo è stato sostituito da un vistoso europeismo e Conte, da notaio del governo del cambiamento, è diventato “il garante della stabilità”. Il populismo ed il disprezzo delle istituzioni parlamentari hanno lasciato il posto all’anelito verso l’educazione istituzionale, il rispetto del Parlamento e la ricerca di un “nuovo umanesimo”. Al posto dell’odio verso i migranti e coloro che li salvano, tipico delle piazze salviniane, ora si cita Saragat: “Fate che il volto di questa Repubblica sia un volto umano”.

Cerchiamo di analizzare la spiazzante giravolta politica, poiché certamente porterà novità rilevanti nella storia del nostro paese e, siccome questo è l’ambito di cui maggiormente mi occupo,  anche sull’evoluzione dei mercati finanziari e sul destino del risparmio degli italiani.

Proverò a rispondere a qualcuna delle legittime domande che tutti ci poniamo di fronte a questo sorprendente capovolgimento di scenario, sforzandomi di essere il più oggettivo possibile.

COME E’ POTUTO SUCCEDERE?

All’origine di questa giravolta c’è stata l’ubriacatura che ha colpito Salvini durante la celebre Festa al Papeete Beach di Milano Marittima, quando ha presentato al mondo l’imbarazzante spettacolo di sé come DJ in costume da bagno , attorniato da cubiste e con il Mojito in mano. Solo 3 giorni dopo,  quello che di fatto in quei giorni si presentava come il vero Presidente del Consiglio, ed imponeva i suoi voleri ad un Di Maio prostrato e sempre più contestato dai suoi, subito dopo aver incassato il voto di fiducia sul decreto Sicurezza bis, carico di svariati profili di incostituzionalità, a pochi giorni dal Ferragosto, decide di dare la spallata al governo, che già dominava, di tentare l’assalto elettorale alla maggioranza assoluta del Parlamento, pretendendo da Mattarella le elezioni  in ottobre per chiedere agli italiani “pieni poteri”.  C’è un qualcosa di dejà vu nell’iperbole festaiola del dominatore delle piazze arrabbiate, che mi fa ricordare le cene eleganti di Berlusconi del 2011, mentre l’Italia affondava e lo spread schizzava. O forse è soltanto quel che sostiene il filosofo Massimo Cacciari: “Agli ignoranti il potere dà ubriacatura”.

Se poi al potere si aggiunge alcool, musica inebriante e donne poco vestite si può facilmente essere colpiti da sindrome di onnipotenza e snobbare le quattro costanti che segnano la storia politica dell’Italia repubblicana:

1) Generalmente chi provoca una caduta del Governo viene punito dall’opinione pubblica.

2) La Costituzione assegna al Capo dello Stato, durante la crisi di Governo, il compito di fare tutto il possibile per formarne uno nuovo. Le elezioni anticipate (in questo caso addirittura dopo un solo anno dalle precedenti) non sono una carta in mano ai partiti, da giocare quando conviene, ma l’extrema ratio a cui attinge il Capo dello Stato solo se non si riesce a trovare un governo sostenuto da una maggioranza.

3) In Italia il collante che unisce le poltrone parlamentari ai sederi che le occupano è sempre stato di ottima qualità. Chi teme di tornarsene a casa dopo meno di un anno e mezzo di partecipazione alla giostra parlamentare diventa molto disponibile a restituire pan per focaccia: se cambi idea tu per farci fuori, cambiamo idea anche noi e facciamo fuori te. Si chiama istinto di sopravvivenza politica.

4) Come ha saggiamente, ma inutilmente, capito il suo espertissimo compagno di partito Giorgetti, gli eccessi di potere in Italia hanno vita breve. Successe già a Renzi, colpito dalla stessa sindrome di Salvini dopo aver realizzato il 40% dei consensi alle elezioni europee del 2014. Fu disarcionato dal referendum costituzionale del 2016, quando voleva attribuire troppi poteri al Governo in carica e scardinare il sistema parlamentare. Giorgetti il primo giorno di vita del governo gialloverde invitò i suoi colleghi di partito a tenere ben in vista sul comodino il ritratto di Renzi, che ricordasse ogni sera la precarietà del consenso politico. Salvini a quanto pare non ha colto il suggerimento.

All’azzardo di Salvini ha risposto con astuta disinvoltura Matteo Renzi, che necessita di qualche mese di tempo per varare il suo nuovo partito personale e non poteva permettersi elezioni subito. Sfruttando il senso di tradimento provato dai grillini, offesi dal voltafaccia salviniano, ha azzardato un analogo voltafaccia. Se fino al giorno prima la sua parola d’ordine era “con i 5Stelle non ci parlo neanche”, di punto in bianco è diventato necessario allearsi con loro “per il bene del Paese”. Siccome gran parte del gruppo parlamentare del PD è renziano, a Zingaretti è toccato assecondare l’idea e trattare l’alleanza, che nel frattempo è stata benedetta anche da Beppe Grillo. Con Renzi che spinge Zingaretti verso Di Maio e Grillo che spinge Di Maio verso Zingaretti, il gioco è fatto.

IL NUOVO GOVERNO DURERA’?

Sebbene il passato abbia dimostrato più volte che in Italia niente è più durevole di ciò che è precario, mi pare oggettivamente difficile classificare questa alleanza posticcia in modo diverso dal matrimonio di interesse, anche se oggi forse durano più i matrimoni di interesse che quelli motivati dalla passione.

Interesse di Conte, che si è ritrovato, senza particolari meriti, ad essere promosso a grande statista per la sua eleganza formale unita alla capacità avvocatesca di sostenere tutto ed il suo contrario, di mediare tra il diavolo e l’acquasanta, di essere forte coi deboli e viscido coi forti. Insomma, per la sua elegante italianità, che gli ha consentito di cambiare con incredibile disinvoltura compagine, programma ed indirizzo politico del governo, rivendicando senza vergogna sia la novità che la continuità con la precedente esperienza governativa.

Interesse di PD e 5Stelle, che sarebbero stati travolti da una sfida elettorale ravvicinata ed avrebbero consegnato il paese all’avventura salviniana. Due partiti che fino a un mese fa si insultavano aspramente debbono ora trovare le ragioni per stare insieme il tempo necessario perché l’opinione pubblica abbandoni Salvini e per fare una legge elettorale che torni al proporzionale puro, senza premi di maggioranza che affidino troppo facilmente l’autosufficienza assoluta ad un solo partito, specie se quello che sta davanti magari coltiva aspirazioni autoritarie.

Non c’è stato il tempo e nemmeno l’occasione di confronto per elaborare un progetto comune, data la fretta che la situazione ha imposto. L’unico collante pare per ora l’anti-salvinismo.

Il programma di governo si mostra raffazzonato e generico. Mentre figurano alcuni progetti (per la verità enunciati in modo molto generico) su cui c’è convergenza, troppi temi spinosi, argomento degli insulti del recente passato, sono stati ignorati del tutto. La realtà delle cose si preoccuperà di portarli ben presto alla luce ed allora si vedrà la caratura delle fedi nuziali che Di Maio e Zingaretti si sono scambiati.

Una pesante ambiguità è tuttora coltivata dal leader penta stellato Di Maio, che non perde occasione di far notare, quasi rimpiangendolo, di aver rinunciato all’offerta di Salvini che lo voleva Presidente del Consiglio se avesse accettato di tornare alla vecchia alleanza. Inoltre continua a presentare questa nuova esperienza di governo in continuità con la precedente, di cui rivendita le cose buone fatte. Non coglie minimamente la differenza tra l’allearsi con la destra oppure con la sinistra.

Un’altra ambiguità non minore è l’atteggiamento futuro di Renzi. Il suo voltafaccia, da nemico numero 1 dei 5Stelle a compagno di merende, è smaccatamente opportunistico. Non è un caso che non abbia voluto nessun ministero per i suoi fedelissimi. E’ certo che al momento opportuno, cioè quando sarà approvata la riforma elettorale proporzionale ed avrà organizzato il suo PDR (partito di Renzi) staccherà la spina. Il risultato sarà l’ennesima divisione del PD.

Quelli elencati (ma ce ne sarebbero anche altri) sono tutti caratteri tipici di una casa costruita sulla sabbia, che fanno pensare che entro un tempo forse più breve della precedente esperienza, anche questa si esaurirà tra le liti.

Oltretutto molti dati dell’economia reale fanno pensare che il prossimo anno la recessione possa arrivare pesantemente nel mondo ed ancor più in Europa, con conseguenze molto gravi per il nostro paese, che è l’anello debole della catena europea. Gestire una recessione non è la condizione ideale per prolungare la durata dei governi.

Il fatto che il governo possa cadere anche abbastanza presto non significa necessariamente che si vada a votare subito. Mattarella non ha ancora giocato la carta del governo tecnico e probabilmente la giocherebbe in caso di grave recessione. C’è da chiedersi però in quali condizioni si ritroverebbero, dopo un tale esito, i due partiti che oggi sorridono un po’ a denti stretti.

I RAPPORTI CON L’EUROPA MIGLIORERANNO?

Tutti ricordiamo l’ostilità del primo Governo Conte nei confronti dell’Europa. Italexit, mini-bot, confisca dell’oro di Bankitalia, insulti agli euro-burocrati: sono state tutte minacce alla stabilità dell’Eurozona che hanno fatto sobbalzare la Commissione UE e con essa anche lo spread BTP-Bund, che ha cominciato ad incorporare il rischio di uscita dall’area euro ed ha lambito i 330 punti nel novembre scorso. In quei giorni andava in scena il braccio di ferro tra il governo Conte 1 e la UE sulla legge di bilancio 2019. La Commissione obbligò poi Tria a ridimensionare il deficit, che sfondava i parametri del Patto di Stabilità UE.

Possiamo trovare qui le prime crepe nel matrimonio tra Salvini e Di Maio, con il primo ostinatamente propenso a combattere la UE ed il secondo che appoggiò la mediazione di Tria e Conte.

Da quel momento lo spread cominciò a ridursi e proseguì verso il basso in tutto il 2019, quando fu chiaro che, se l’uscita dall’euro poteva essere un esito plausibile per Salvini, per il M5S questa possibilità era ormai ritenuta non percorribile.

Lo spread si appoggiò intorno ai 200 punti in attesa di verificare gli scenari generati dalle elezioni per il Parlamento Europeo e l’impostazione della nostra legge di bilancio per il 2020.

Le elezioni europee andarono molto bene per la Lega in Italia, ma piuttosto male per il gruppo dei partiti sovranisti europei. In particolare l’ipotesi di poter condizionare la maggioranza che avrebbe espresso il nuovo Presidente della Commissione UE non si realizzò. I sovranisti vennero confinati all’opposizione e Ursula Von der Leyen venne nominata da una maggioranza composta da Popolari, Socialdemocratici e Liberaldemocratici, a cui si unì poi, fino a diventare determinante, anche lo sparuto gruppo di Parlamentari del M5S. Salvini invece rifiutò sdegnato di appoggiare la Presidente tedesca.

Questa mossa, che venne sponsorizzata molto da Conte, fu determinante per creare un ottimo feeling tra lui e Ursula, che Conte ha sfruttato abilmente per incrementare il suo prestigio.

Ma cominciò a rovinare rapidamente il rapporto tra Salvini e Di Maio, le cui strade si separarono inesorabilmente.

Ora che Di Maio ha celebrato le seconde nozze col PD, sul cui europeismo non ci sono dubbi, i rapporti con l’Europa migliorano decisamente. Lo stesso spread lo ha rilevato, adagiandosi intorno ai 150 punti base.

Nei giorni scorsi la partenza del Governo Conte 2 è coincisa con la nomina di Gentiloni a Commissario Europeo per gli Affari Economici. Considerando poi che il nuovo ministro dell’Economia Gualtieri è un habitué da tanti anni della stanza dei bottoni di Bruxelles, tra i politici governativi e tra i commentatori si è diffusa l’aspettativa di un atteggiamento della nuova Commissione estremamente favorevole al nostro paese.

Personalmente credo che la flessibilità sui parametri di deficit e debito rispetto al PIL, che la Commissione concederà ad Euro-Conte, sia destinata a crescere, ma non troppo e non per volontà di premiare la fedeltà Europea odierna di Conte (il che sarebbe anche abbastanza sgradevole). Piuttosto perché in tutta l’area euro il prossimo anno dovrebbe arrivare un forte rallentamento economico e le regole in vigore assegnano già automaticamente, in questo caso, maggior flessibilità.

Non mi aspetterei molto di più di qualche decimale di PIL. Le regole del patto di stabilità sono ben chiare e la stessa Ursula ha affermato chiaramente che la flessibilità verrà accordata solo nel rispetto delle regole. La differenza tra “regola” e “regalo” per i tedeschi e per gran parte degli altri paesi membri UE è molto chiara. Forse non per gli italiani, come abbiamo quasi sempre dimostrato.

Anche questo governo, come il precedente, ha messo nel programma il compitino di chiedere la revisione delle regole europee del Patto di Stabilità. Non sei populista, non sei di sinistra, non sei alla moda se non la chiedi. Tra il chiederla e l’ottenerla come si vorrebbe (tollerante) e quando si vorrebbe (subito), c’è però una bella differenza. Ci si scontrerà con l’approccio alle regole che in nord-Europa è molto diverso dal nostro, e col fatto che per cambiare il patto di stabilità i tempi tecnici si misurano in anni di procedura, non nei pochi mesi che mancano alla presentazione del bilancio per il 2020.

Per i prossimi mesi occorrerà pedalare con le regole attuali e la Commissione UE, nonostante Gentiloni, farà pochi sconti. Ne è un indizio il fatto che, nonostante l’Italia abbia ottenuto l’Economia per il mesto Gentiloni, che è il politico più malleabile sulla piazza, Ursula abbia preso la precauzione di affiancargli con poteri superiori e necessità di concertazione, il falco Dombrovskis, che è pure vice-Presidente della Commissione.

Il povero Gentiloni, che già non sa mordere, si ritrova così una bella museruola preventiva e magari succederà che alle nostre richieste gli altri diranno di no, e, ironia della sorte, sarà proprio il mesto Gentiloni a dovercelo comunicare.

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