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DAZI ALLA CINA: CHE FIGURACCIA
13/09/2005

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La vicenda dei dazi sulle importazioni dalla Cina dei prodotti tessili si è conclusa in farsa.

La vicenda, che si era aperta in primavera con strombazzamenti mediatici, quando i leghisti, sponsorizzati dal mago Tremonti a suon di proteste a Bruxelles al grido di “tutta colpa dei cinesi”, ottennero dall’UE l’istituzione delle quote massime di importazione sui prodotti tessili provenienti dalla Cina, si è conclusa nei giorni scorsi con un escamotage che di fatto ha dato il via libera ai prodotti cinesi e obbligato l’UE a piegare la testa di fronte alla legge del mercato.

I lettori di Borsaprof.it ricorderanno la mia contrarietà ai dazi ed al protezionismo, che, come dice la teoria economica, alla lunga non risolvono affatto le carenze competitive, ma provocano una riduzione del commercio mondiale e pertanto della ricchezza per tutti.

La realtà ha mostrato controindicazioni ancora più convincenti della teoria.

Infatti nel mese di agosto, due soli mesi dopo l’introduzione delle restrizioni negoziate dal commissario UE Mendelson con i cinesi, i prodotti cinesi, che avevano quasi tutti superato le quote massime previste per l’intero 2005, sono stati bloccati sulle navi che li trasportavano e non sdoganati, lasciando a secco i rifornimenti degli scaffali europei. La guerra del tessile si è quindi trasformata in uno scontro tra europei.

Gli importatori del nord Europa hanno cominciato a trascinare la questione davanti alle loro Corti Costituzionali, affermando che il blocco delle importazioni dalla Cina infligge un danno ingiusto alle loro aziende, ai loro dipendenti ed ai consumatori, che hanno il diritto di vestirsi ad un costo più basso.

Per quei paesi, che da tempo hanno riconvertito le loro produzioni verso prodotti più sofisticati di quelli tessili, la Cina rappresenta un formidabile sbocco e non fa paura come concorrente. Al contrario la Cina viene vista come temibile avversario dalla lobby dei tessili italiani. Tuttavia nella vicenda si intravede un paradosso che anziché alleviare le sorti delle imprese tessili italiane, rischia di danneggiare soltanto i consumatori europei, che rischiano di non trovare sugli scaffali i prodotti che servono per vestirsi.

Infatti anche le aziende italiane principali sono multinazionali che hanno dirottato in Cina gran parte dei loro prodotti, limitandosi a produrre sempre meno in patria. Perciò anche la merce proveniente dalle filiali cinesi delle multinazionali europee rientra nel conteggio delle quote.

L’esito è stato perciò che parecchi generi d’abbigliamento non si trovano neanche a prezzi più salati.

Insomma, chi pensa di salvare l’industria tessile italiana con il protezionismo ha scoperto che l’alternativa al made in China non è affatto il made in Italy.

Ecco allora che l’Europa è dovuta andare a Canossa e per garantire gli approvvigionamenti dei supermercati europei ha dovuto negoziare con i cinesi la riforma del sistema dei tetti, alzando le quote del 2005 e consentendo l’anticipo al 2005 del 50% delle quote previste per il 2006.

L’accordo ha consentito così lo sblocco delle merci alla dogana e dimostrato che alla fine il mercato prevale su chi lo vuole ostacolare col protezionismo.

 

 

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