I mercati azionari assestano un colpo d’acceleratore al rimbalzo iniziato con una certa decisione il 13 maggio.
Pare improvvisamente tornato l’ottimismo che sembrava definitivamente smarrito nelle giornate dei crolli di aprile. In Europa alcuni mercati, tra i quali il Dax tedesco, cominciano a rivedere piuttosto da vicino i massimi di quest’anno. Gli stessi indici americani hanno recuperato ormai i due terzi del calo subito dai massimi e sembra che vogliano sfruttare l’arretramento del prezzo del petrolio e le trimestrali, in gran parte buone e superiori alle aspettative, per tornare anch’esse in prossimità dei massimi dell’anno.
Il nostro Mibtel, che forse ha risentito più di ogni altro del mini-crollo di aprile (d’altra parte era salito più di tutti, per cui era naturale che pagasse pegno), sta anch’esso rialzando la testa e lunedì è riuscito a superare indenne llo stacco dividendi che aveva un peso superiore al punto percentuale.
Tutto ciò è capitato nei giorni in cui una serie di dati macreoeconomici americani ha evidenziato dei chiari segnali di rallentamento della crescita economica nel trimestre in corso. Segnali che il mercato obbligazionario ha interpretato come portatori di ulteriori cali nei rendimenti di lungo periodo, riflessi da nuovi massimi nelle quortazioni dei bond decennali, soprattutto in Europa.
Il comportamento divegente dei due mercati, come abbiamo rilevato già da qualche tempo è abbastanza insolito ed equivoco. Soprattutto non si capisce bene per quale motivo i rendimenti sul decennale debbano essere inferiori a quelli che si vedevano un anno fa quando i tassi a breve negli USA erano due punti percentuali più bassi. Il dilemma attanaglia anche Greenspan che ha manifestato a più riprese il suo stupore. Evidentemente i mercati obbligazionari non percepiscono il futuro dell’economia mondiale con le stesse lenti di Greenspan. Nelle ultime settimane vi è però un ulteriore fattore che spinge la domanda di bond governativi di qualità, contribuendo ad abbassarne i rendimenti. Si vocifera insistentemente che molti fondi hedge stiano precipitosamente abbandonando una delle scommesse che negli ultimi mesi si è rivelata piuttosto perdente, cioè l’investimento in bonds corporate. I recenti declassamenti di GM e Ford hanno portato consistenti cali nelle quotazioni dei numerosi bonds societari, oltre ad un repentino e marcato allargamento degli spreads esistenti tra corporate bonds e obbligazioni governative, a danno dei primi. Quella che sembrava fino a pochi mesi fa una scommessa sicura date le buone prospettive dell’economia e la riduzione generalizzata del rischio di insolvenza a carico delle società emittenti di bonds, sta diventando un boomerang a danno dei fondi hedge che vi si erano avventurati e che ora tornano precipitosamente sui loro passi ricomprando i più sicuri titoli governativi.
Quella sui corporate bonds non sembra tuttavia l’unico flop che molti hedge funds hanno collezionato in questo bizzarro 2005, che sembra smentire un po’ tutte le previsioni. Anche la sovraesposizione sui titoli energetici e delle materie prime al momento non sta affatto pagando, dato il calo dei prezzi di un po’ tutte le commodities. Non stupisce quindi che si diffondano voci di alcuni importanti hedge funds ormai con l’acqua alla gola ed in lotta per la sopravvivenza. Il fatto ridimensiona quell’alone di infallibilità che sembravano vantare, grazie alle lusinghiere performance negli anni critici del mercato orso. Ma soprattutto è in grado di mettere a repentaglio la stabilità del sistema finanziario. Basta ricordare il maremoto che comportò sulle borse mondiali il fallimento del fondo LTCM nel 1998, che solo l’intervento deciso di Greenspan riuscì ad arginare con una iniezione di liquidità fuori programma.
Per loro fortuna (almeno momentanea) è uscito fresco fresco il dato del tutto inaspettato che la crescita cinese non accenna a calmarsi e procede anche nel primo trimestre ad un ritmo superiore al 9%. Viene smentita pertanto ogni ipotesi di rallentamento pilotato dalle autorità cinesi, che nei mesi scorsi veniva sbandierato per calmare gli animi occidentali sempre più nervosi per l’aggressività competitiva cinese e l’aumento dei prezzi delle materie prime a causa del loro boom. I dati hanno invece dimostrato la mancata volontà di far seguire alle parole comportamenti coerenti oppure, e sarebbe peggio, che i dirigenti cinesi hanno perso completamente il controllo della loro economia e di non riescono a calmarne i bollori.
La prorompente crescita cinese, se nel medio termine preoccupa per la stabilità del sistema finanziario, potrebbe nel breve rinfocolare le speculazioni sulle materie prime e l’energia, fornendo così l’ancora di salvezza ai fondi hedge un po’ troppo garibaldini, che ritroverebbero qualche speranza di uscita indolore dalle operazioni avventate degli ultimi mesi.
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