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EURO-CONVERGENZA O EURO-DIVERGENZA?
03/05/2005

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Gli ultimi giorni di aprile hanno certificato con i dati ufficiali quello che i mercati si aspettavano e stavano scontando da settimane.

Una serie di comunicazioni macroeconomiche provenienti dall’America, tutte riflettenti un indebolimento del ritmo di crescita dell’economia USA, ha assestato il colpo definitivo alle illusioni di chi pensava che la crescita americana potesse continuare anche nel 2005 ai medesimi ritmi del 2004. Tra costoro c’era forse anche Greenspan, anche se personalmente ho qualche dubbio che lo pensasse davvero, sebbene tutte le sue ultime esternazioni fossero in quel senso.

Il quadro si presenta ora un po’ più fosco. Non che la situazione americana sia paragonabile a quella europea, che si barcamena con le ultime previsioni, ancora una volta riviste al ribasso, che parlano di tassi di crescita decisamente inferiori al 2%, con alcuni paesi, come la Germania e l’Italia, assai vicini ad un misero 1%.

Tuttavia la frenata dell’economia USA appare evidente, al punto che addirittura i mercati obbligazionari hanno festeggiato con un rialzo che ha portato i tassi decennali a livelli assai schiacciati. In USA si è avvicinato il minimoassoluto di questi ultimi anni, nonostante i ripetuti rialzi dei tassi a breve praticati ed ancora da praticare da Greenspan. In Europa si è addirittura battuto il minino storico e si naviga intorno al 3,50%.

Prosegue ed anzi si ingigantisce la contraddizione che avevo evidenziato la scorsa settimana tra il comportamento dei mercati monetari e le politiche monetarie delle banche centrali. I primi giungono quasi ad ipotizzare, se non per gli USA almeno per l’Europa, un possibile scenario futuro di tipo “giapponese”, con bassi tassi, prezzi fermi e stagnazione economica. La Fedral Reserve invece continua ad alzare i tassi a breve, quasi che il rallentamento della crescita sia più un’illusione statistica che una evidenza empirica. Il risultato è pertanto un anomalo appiattimento della curva dei tassi, in attesa che la realtà futura delle cose stabilisca chi avrà ragione.

Sul mercato azionario l’effetto combinato di questi scenari sta portando volatilità senza una chiara direzione di marcia. Per essere più preciso direi che dopo il secco scrollone di 10 giorni fa, che ha fatto scendere le borse al di sotto di importanti livelli e compromesso il trend rialzista di breve periodo, i mercati stanno prcedendo all’interno di una fascia orizzontale di indecisione, con frequenti oscillazioni tra i due bordi della fascia. L’indecisione potrebbe protrarsi ancora per qualche giorno anche se è verosimile che la nascita di un nuovo trend sia ormai imminente.

Intanto in Europa si sta affacciando un nuovo spettro, fino a qualche giorno fa snobbato dagli operatori, ma che potrebbe destabilizzare la marcia dell’euro e provocare seri danni alle economie più deboli della regione.

Sto parlando del possibile terremoto politico che potrebbe provocare la possibile e finora probabile bocciatura della Costituzione Europea da parte dei referendum che a fine mese si terranno in Francia ed Olanda.

Anche se non mi sento di sottoscrivere le affermazioni di qualche esperto che ha ipotizzato l’inversione del cammino di convergenza delle economie europee ed addirittura lo sgretolamento dell’euro, credo possibile almeno una pausa di riflessione che avrà certamente l’effetto di bloccare la convergenza in atto e l’ingresso di nuovi paesi nell’area monetaria comune. Questo fatto si aggiungerebbe alla revisione in senso lassista del Patto di Stabilità, decisa poco più di un mese fa. Le conseguenze combinate di questi due eventi potrebbero essere uj allargamento degli spread tra rendimento dei titoli di stato tedeschi, che sono il benchmark di riferimento dell’area euro, e quello dei paesi meno virtuosi, tra cui bisogna annoverare anche il nostro e quelli che stanno procedendo verso la convergenza.

Avvisaglie in tal senso si stanno già manifestando e potrebbero accelerare se prevalessero i no alla Costituzione in Francia.

Sarebbe l’ennesima tegola sul governo Berlusconi, che, dopo aver festeggiato per la riforma del Patto di Stabilità, attribuendosene addirittura i meriti, rischierebbe ora di pagare il conto della festa in termini di maggiori interessi sui titoli di stato.

 

 

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