Dal 2000 aiutiamo a
fare trading con metodo,
con newsletter e corsi
in tutta Italia.
GRATIS per te Le Newsletter I Corsi
 

CACCIA AI DIVIDENDI
19/04/2005

Ti piacerebbe guadagnare in borsa in 5 minuti al giorno?
Il nostro report GOLD ti propone un metodo chiaro, semplice e facilmente replicabile!
Clicca qui per provarlo GRATIS per un mese!

Si è aperta nei giorni scorsi la stagione della caccia al dividendo, che sembra essere diventata lo sport nazionale degli italiani che investono in Borsa. Alcune società hanno staccato la cedola lunedì scorso (Tim, ), altre distribuiranno il dividendo nelle settimane successive, fino a fine giugno.

Mai come quest’anno le società dell’indice SPMIB hanno distribuito dividendi così alti. A dire il vero anche i profitti non sono stati affatto male. Si calcola infatti che le 40 più importanti società della nostra Borsa abbiano realizzato un monte profitti di circa 27 miliardi di euro. Manna dal cielo non solo per gli azionisti ma anche per le sempre più asfittiche casse dello Stato che, a fronte di utili lordi per 47 miliardi di euro, hanno incassato ben 20 miliardi di imposte. Se consideriamo che la manovra finanziaria dello scorso anno è stata di 16 miliardi, ben comprendiamo la boccata d’ossigeno che i bilanci aziendali delle principali società quotate hanno elargito al bilancio pubblico.

A ben vedere tuttavia circa metà degli utili complessivi è stata realizzata da 3 sole società, Eni, Enel e Tim, vere e proprie galline dalle uova d’oro. Queste tre società guarda caso fanno parte della abbastanza vasta schiera di ex monopoliste pubbliche, che dopo la privatizzazione hanno perso lo Stato come azionista di controllo, ma hanno conservato buona parte dei vantaggi concorrenziali che possedevano prima della privatizzazione.

Buoni risultati hanno in generale ottenuto anche i bancari e gli assicurativi, altri settori che non brillano certo per concorrenza e per i quali le varie autorità di controllo e di vigilanza sembrano più preoccuparsi della distribuzione del potere che di un aumento della concorrenza.

A profitti record corrispondono dividendi record. Infatti la percentuale di utili che sarà distribuita agli azionisti (payout ratio) sfiora il 75% dei profitti per un ammontare di ben 20 miliardi. Un simile livello di payout non lo si era mai visto, e bisogna perciò tentare di spiegarne le motivazioni.

Le società per azioni, una volta realizzato l’utile netto, relativamente al suo impiego hanno davanti tre opzioni: la prima  è mantenerne una quota rilevante nelle casse della società destinandola al finanziamento degli investimenti aziendali. La seconda è destinarne una buona fetta al rimborso dei debiti sociali, mentre la terza è quella di privilegiarne la distribuzione ai soci come dividendo.

Perché le società italiane hanno in modo così preponderante scelto la terza opzione?

Semplicemente perché non ci sono molte idee su cui fare investimenti. Non è facile decidere di espandersi quando i tassi di crescita economica stagnano ormai da anni al di sotto del pur misero 1% e la disillusione della new economy ha stroncato brutalmente le idee che non poggiassero su prospettive più che solide.

Da qualche anno a questa parte sembra piuttosto che le società siano più orientate a contrarsi che ad espandersi. Si vedono più operazioni di acquisto di azioni proprie e di accorciamento delle catene di controllo che progetti di espansione interna od esterna.

Parallelamente i bassi tassi di interesse a lungo termine invogliano ad aumentare l’indebitamento per realizzare un ampliamento della leva finanziaria. Infatti quando il tasso di rendimento della gestione operativa è superiore al costo del capitale, conviene indebitarsi perché in tal modo si aumenta l’utile per gli azionisti.

Resta pertanto la terza opzione, il dividendo, che oltretutto sembra essere assai gradita agli azionisti.

Infatti un numero crescente risparmiatori sembra attratto dalla cedola e comprano i titoli che distribuiscono le cedole più alte.  Vedendo cedole paragonabili ed a volte superiori al rendimento annuo di un titolo di Stato a medio-lungo periodo la tentazione di buttarsi a pesce per fare il colpaccio è fortissima.

A dire il vero questa tecnica di investimento non è una novità, in quanto un filone di pensiero autorevole sostiene da tempo che uno degli indicatori di tipo fondamentale da tenere maggiormente in considerazione è proprio il cosiddetto “dividend yeld”, che in italiano andrebbe tradotto come tasso di rendimento dei dividendi. Per gli amanti delle formule:

DIVIDEND YELD = (DIVIDENDO LORDO / PREZZO DEL TITOLO) X 100

Tale rapporto confronta il dividendo con il prezzo pagato per acquistare il titolo ed esprime appunto il rendimento percentuale del titolo, che spesso si usa confrontare con quello di altre attività finanziarie alternative, come i titoli di stato o con il rendimento delle proprietà immobiliari, per dedurre la convenienza ad investire in un modo anziché in un altro.

Vi è poi la diffusa convinzione della validità di tale strumento anche per la selezione delle azioni da tenere in portafoglio, ipotizzando che le società che distribuiscono alti dividendi, fornendo un elevato rendimento, siano da preferire a quelle più avare nei confronti dei soci. Il paladino di tale punto di vista è M. O’Higgins, un americano celebre per aver elaborato una tecnica di investimento, quella dei “cani del Dow Jones”, la quale si basa proprio sulla selezione dei dieci titoli, tra i 30 del paniere che compone l’indice Dow Jones, che presentano il più elevato valore di dividend yeld.

Sulla scorta di queste convinzioni anche quest’anno le riviste specializzate stanno spingendo i risparmiatori a posizionarsi sui titoli a cedola più elevata. Ma sarà proprio l’idea migliore?

Credo sia bene esporre qualche riflessione critica su tale punto di vista.

La prima obiezione metodologica si basa sul fatto che non ha molto senso basare le prospettive future di una impresa (non dimentichiamo mai che quando si investe si comprano le prospettive future di una società) sulla politica di distribuzione dei dividendi.

Un alto dividendo non significa necessariamente che ci sia stato un alto utile. Può capitare che si mantenga invariato il dividendo anche in annate in cui gli utili sono calati molto, o addirittura non ci sono stati.

Inoltre, ammesso che l’utile ci sia stato, bisognerebbe anche verificare che si tratti di utile che proviene dalla gestione caratteristica, e non da componenti straordinarie e pertanto difficilmente ripetibili in futuro. Capita spesso, infatti, di vedere dividendi generosi, dovuti a componenti straordinarie o a plusvalenze per cessione di rami aziendali o di immobili, distribuiti una tantum e non mantenuti negli anni successivi.

Infine, il dividendo fotografa una situazione passata, essendo il frutto della distribuzione degli utili passati. Non è affatto detto che i buoni risultati passati siano ripetuti in futuro. 

Avrebbe perciò più senso, per misurare lo stato di salute di una società, guardare all’utile, considerando però anche quella parte di utile che non viene distribuita, ma reinvestita nell’impresa stessa. Più precisamente l’indicatore da seguire dovrebbe essere il rapporto “prospettico”, cioè calcolato su stime per il futuro, tra utile e prezzo, che altro non è che l’inverso del classico P/E. Purtroppo la stima dell’utile futuro non è affatto semplice. La validità delle previsioni fatte dagli analisti prestano spesso il fianco a critiche anche feroci e soprattutto sono molto frequentemente smentite dai fatti. 

Vi è una seconda obiezione teorica all’utilizzo del dividend yeld, altrettanto forte. Una troppo generosa politica di distribuzione degli utili può rivelarsi un boomerang sulle prospettive di crescita della società, poiché distribuisce risorse ai soci invece di usarle per gli investimenti aziendali o per ridurre l’indebitamento. Pertanto, se ipotizziamo che l’andamento futuro degli utili sia positivamente influenzato dall’espansione dell’impresa e dagli investimenti che in essa si attuano, avrebbe più senso scegliere proprio le società che attuano una più avara politica di distribuzione degli utili, perché sono queste che investono maggiormente su se stesse. Non è forse casuale che uno dei più fulgidi esempi di successo aziendale e borsistico del secolo, Microsoft, il cui valore in 20 anni si è moltiplicato di oltre mille volte, sia anche una delle poche società che nella loro vita non hanno quasi mai distribuito utili, ma hanno reinvestito sempre al proprio interno i forti profitti realizzati.

Certo, all’apparenza può essere giudicata positivamente la percezione di una cedola consistente, magari competitiva riguardo a quella di un BTP, come accade oggi. Tuttavia bisogna considerare che per i titoli azionari non c’è nessuna scadenza e tanto meno garanzia di restituzione del valore nominale. Pertanto i conti vanno fatti guardando anche i guadagni o le perdite in conto capitale. Che me ne faccio di una cedola del 5% quando dopo un anno dovessi scoprire di aver subito un calo del 20% nella quotazione? Non dimentichiamo poi che la volatilità tipica dei corsi azionari è in grado di mangiarsi in pochi giorni anche una cedola di tutto rispetto. Perciò mantenere in portafoglio titoli che magari sono in trend discendente per aspettare la cedola non so fino a che punto sia una scelta sensata.

Un ulteriore elemento da considerare è la modalità della quotazione delle azioni, che incorpora in ogni momento la cedola (tecnicamente viene chiamata “tel quel”). Ciò significa che il giorno dell’incasso del dividendo, siccome il titolo viene a perdere la cedola, la quotazione subisce normalmente la decurtazione del valore della cedola. Chi ha comprato il titolo il giorno prima pensando di fare un affare si trova normalmente con un pugno di mosche. L’esperienza insegna che quando il mercato è buono, cioè rialzista, i titoli tendono a recuperare la cedola staccata in pochi giorni. Tuttavia questo slancio è dovuto alla fase rialzista più che ad un effetto miracolistico dei dividendi alti. Quando invece il mercato è al ribasso normalmente il gap subito dallo stacco cedole non verrà colmato ed il titolo proseguirà nella discesa in barba alla generosità della cedola, e ciò tanto più quanto maggiormente il mercato ne percepirà la irripetibilità.

Chi pensa che per guadagnare un Borsa basti scegliere i titoli con cedola più alta, credo che ora abbia parecchie cose su cui meditare. D’altra parte sarebbe troppo bello se fosse così facile investire con successo.

 

____________________________________________________________________________________________________
Pierluigi Gerbino - P. Iva 02806030041
v. Torino 81 - 12048 Sommariva del Bosco (CN)

I contenuti, le analisi e le opinioni pubblicati in questo sito sono realizzati da Pierluigi Gerbino, che se ne assume la responsabilità a tutti gli effetti. Tutti i diritti di utilizzo, riproduzione e divulgazione sono riservati. Nessuna parte del sito potrà essere prelevata, trasmessa, tradotta, pubblicamente esposta, distribuita o incorporata in altre opere d'ingegno.

UN AIUTO PER LA TUA OPERATIVITA'

I nostri SERVIZI INFORMATIVI ti aiutano a guadagnare in borsa con un metodo chiaro, semplice, efficace e, soprattutto, replicabile!
 

GOLD, Report Quotidiano sul Mercato Azionario, fornisce ogni giorno ANALISI sui principai indici, analisi e INDICAZIONI operative sul AZIONI di ITALIA, USA e su ETF-ETC quotati.   Prova 1 mese GRATIS!

GAP, Report settimanale per investire con ottica di medio periodo su ETF-ETC e AZIONI di ITALIA  e USA  Prova 1 mese GRATIS!

In più avrai la possibilità di partecipare ai Webinar FOCUS mensili di approfondimento, riservati agli iscritti a GOLD e GAP.