Il mese d’aprile si sta caratterizzando per il riacutizzarsi di alcuni comportamenti divergenti tra le due sponde dell’atlantico, che non siamo abituati a vedere spesso.
La prima anomalia, sulla quale non mi soffermo troppo, riguarda il mercato obbligazionario, che da alcune settimane sta rialzando la testa soprattutto in Europa. Le quotazioni in questi giorni stanno scontando tassi di interesse a lungo termine in discesa e nuovamente ben al di sotto del 4%, nonostante quel che gli indicatori economici ci comunicano, cioè che negli USA il tasso di crescita economica, seppure in probabile rallentamento, sembra comunque più che lusinghiero e ipotizzato vicino al 4% per l’anno corrente, mentre in Europa si intravede qualche segnale più convinto di ripresa. Inoltre il prezzo del greggio, pervicacemente vicino ai massimi di quasi 60 dollari al barile non contribuisce certo a calmierare le spinte inflazionistiche. Infine l’intenzione della Federal Reserve USA di proseguire, seppur gradualmente, nella politica di rialzo dei tassi a breve e con prospettive di ulteriore salita, avrebbe normalmente spinto a ritenere probabile qualche ritocco nella medesima direzione anche da parte della BCE.
Invece dal mercato sembrano venire indicazioni assai diverse, quasi che qui in Europa si possa prescindere dagli imput provenienti dall’America.
Il fatto che i tassi a lungo termine abbiano ripreso la via del ribasso sembra scontare più aspettative di recessione che di inflazione e soprattutto che la BCE rimarrà ben ferma e per lungo tempo non toccherà il livello del tasso di finanziamento a breve, fissato al 2% ormai quasi da due anni.
Sembra perciò che gli investitori temano che anche un piccolo raffreddore nella congiuntura americana qui in Europa possa tramutarsi in una polmonite.
Personalmente mi sembra una posizione un po’ estremistica, ma in queste settimane sembra andare di moda.
L’altra dimostrazione di autonomia i mercati europei la stanno fornendo nel comparto azionario.
Proseguendo in una tendenza che si è manifestata fin da gennaio, le Borse europee snobbano l’andamento incerto dei mercati americani, alle prese con la lotta per non scendere sotto il livello di 1163 (per SP500), che fa da spartiacque tra il mantenimento di una fase lateral-rialzista e l’instaurarsi di un movimento correttivo che decreterebbe la fine del mercato toro di questi ultimi due anni. In Europa invece di scendere si rimane piuttosto ancorati ai massimi annuali, quando addirittura non si riesce ad oltrepassarli, come è successo ad Italia, Francia e Svizzera giovedì della scorsa settimana.
Fa poi una certa impressione, ma non stupisce più, dato quel che abbiamo visto da agosto a dicembre 2004, constatare che ancora una volta il mercato più tonico d’europa è il nostro, anche perché dal lato dell’economia reale le statistiche italiane ci hanno consegnato un tasso di crescita dell’1% nel 2004, che ci pone tra gli ultimi d’Europa in quanto a crescita.
I mercati sermbrano quindi sempre più difficili da decifrare e soprattutto sembrano guardare sempre meno ai cosiddetti “fondamentali” dell’economia.
Tuttavia una certo tentativo di spiegare i muscoli del mercato azionario italiano in quest’ultimo mese Borsistico, è possibile farlo constatando l’andamento di un solo settore all’interno del panorama italiano. Mi riferisco al settore bancario. Se il lungo rialzo da agosto a gennaio era spegabile grazie alla performance stellare delle utility (poi bruscamente ridimensionate a febbraio), degli energetici e dei bancari, a guidare lo strappo partito a marzo, che ha permesso all’indice Mibtel il 7 aprile di realizzare il nuovo massimo, è stato praticamente solo il settore bancario. Le operazioni di fusione ed acquisizione in corso e quelle ipotizzate od ipotizzabili per il futuro, ora che l’ostilità di Fazio alla calata degli stranieri è venuta un po’ meno per opera di un paio di tirate d’orecchie del Commissario Europeo Almunia al nostro Governatore, hanno messo la febbre all’intero settore e lanciato gli esperti ad ipotizzare chissà quali mosse nel Risiko bancario, col risultato di far lievitare i prezzi anche al di là di ogni più generosa valutazione. Per averne un riscontro basta selezionare la lista dei titoli che sono saliti di più tra i 40 del paniere SPMIB dal primo marzo ad oggi. Nelle prime 10 posizioni troviamo ben 9 banche delle 12 presenti nel paniere e ne troviamo 11 tra i primi 13 titoli. Addirittura 5 hanno una performance a due cifre in poco più di un mese. Vien da pensare che senza la mostruosa performance delle banche la nostra borsa avrebbe oggi un risultato assai simile alle incertezze americane.
Inutile comunque recriminare su quest’anomalia, che a ben vedere ricorda molto quella del periodo d’oro della bolla speculativa (ottobre 1999-marzo 2000), con la variante che al posto dei bancari allora c’erano i titoli TMT (tecnologici, media, telefonici).
Ma molto utile aver ben presente che un rialzo trascinato da un solo settore potrebbe avere gambe corte e vita breve. Urge pertanto un allargamento del numero di settori in rialzo o perlomeno che qualche altro settore sia pronto a raccogliere il testimone quando i bancari vorranno rifiatare.
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