I due termini che in questi giorni vanno forse maggiormente di moda sugli articoli di economia e finanza hanno entrambi l’accento sulla lettera a.
Il primo è l’ITALIANITA’, inteso come valore del sistema bancario da presevare dall’attacco delle banche straniere. Il secondo è STABILITA’, inteso come carattere del Patto tra gli Stati dell’Unione Europea che deve mantenere la credibilità finanziaria dell’Unione Monetaria che sta alla base dell’euro.
Dedicherei poche note di commento, necessariamente stringato e parziale ad entrambi gli aspetti.
Circa l’italianità abbiamo scoperto che questa caratteristica è diventata la base del nostro sistema bancario in quest’epoca in cui l’unità nazionale interessa praticamente a nessuno, dato lo stravolgimento in senso confederale della nostra costituzione iniziato dal precedente governo D’Alema e portato tristemente a termine dall’attuale governo proprio oggi.
Fazio, ritornato in sella dopo la vittoria sul suo mandato a vita, che è stato mantenuto nel testo della micro-riforma della tutela del risparmio approvata alla Camera in prima lettura, dopo aver per parecchi anni frenato il processo di concentrazione tra banche italiane in virtù del principio della “prudenza” di democristiana memoria, mantenendo di fatto cristallizzato il sistema di potere poco trasparente ed ostile alle regole di mercato, si è visto scavalcare dalla presa di posizione della Commissione Europea che ha recentemente tuonato contro il protezionismo eretto dai veti alle acquisizioni di banche italiane da parte di istituti stranieri.
Ancor più è rimasto spiazzato dalla intenzione di due colossi del credito, lo spagnolo BBVA e l’olandese ABN AMRO di lanciare due OPA ostili rispettivamente su BNL e B.Antonveneta.
Non potendo più opporre il consueto rifiuto, ecco che si sta prodigando ad alzare le difese in nome appunto dell’italianità del capitale di controllo, quasi che questo fosse ipso facto un valore a se stante.
Mi permetto di avere qualche dubbio sull’utilità di subordinare ogni altra considerazione al principio dell’italianità. Credo che l’arrivo di queste due banche straniere avrebbe qualche effetto positivo sul sistema bancario, magari a costo di scompaginare qualche consolidato equilibrio di potere. Innanzitutto aumenterebbe la concorrenza in un settore che è spesso a ragione accusato di praticare all’unisono condizioni particolarmente onerose per i clienti. Inoltre spingerebbe anche le banche italiane più importanti ad osare qualche maggiore acquisizione all’estero.
Infine l’afflusso di denaro fresco sulla Borsa italiana consentirebbe all’intero listino di trarne giovamento.
Ma soprattutto vedrei con molto disgusto l’eventualità che si comincia ad affacciare, al momento come semplice “pour parler”, di difendere l’italianità favorendo operazioni di aggregazione italiana in modo poco trasparente ed in spregio delle regole del mercato, così come sono stabilite dall’ormai più volte vituperato Testo Unico della Finanza. Le regole dicono molto semplicemente che ad un’OPA si risponde non con manovre tendenti ad ostacolarla o renderla inapplicabile, ma con una contro-OPA più conveniente per il mercato. Solo così anche le minoranze si avvantaggerebbero della competizione in atto per il controllo di queste banche. Altrimenti si calpesterebbe il mercato in virtù della intoccabilità del potere bancario, questa volta chiamata italianità.
L’altro evento che ha fatto parlare le cronache economiche è la revisione del Patto di Stabilità è il fondamento dell’Unione Monetaria.
Accusato da tempo di eccessiva rigidità, quando in realtà erano i governi a non essere capaci di convivere con i limiti posti da queste elementari regole di buona Contabilità di Stato, è stato di fatto disatteso lo scorso anno, quando furono perdonati gli sfondamenti di Francia e Germania ai limiti di deficit, con il placet del nostro Tremonti presidente di turno dell’Ecofin.
Finalmente in questi giorni è stato riformato e reso più “flessibile”, consentendo così ai paesi meno virtuosi, che avrebbero avuto anche quest’anno difficoltà ad indossare la camicia del rapporto Deficit/PIL, di cantare vittoria. Inutile dire che nel canto della vittoria il nostro premier, memore dei suoi trascorsi da chansonnier, ha ancora una volta primeggiato attribuendosi interamente il merito di questa riforma, che, è superfluo dirlo, se non avesse interessato anche Francia e Germania, non avremmo certo visto.
Ma prima di attribuire dei meriti, vorrei riflettere brevemente se ci siano effettivamente dei meriti da attribuire a qualcuno o se non si rischi di dover in futuro ricercare dei colpevoli.
Sembra abbastanza probabile che l’interpretazione che il mercato darà di questo nuovo Patto sarà quella di un maggior potenziale lassismo nel rigore finanziario dei vari governi. E’ vero che il fatto di aver più tempo per rientrare nei parametri sfondati e l’aver modificato leggermente le procedure contabili per determinare il deficit non comporta automaticamente un maggiore lassismo, però è anche vero che governi che in questi anni hanno tentato a più riprese di scardinare la porta chiusa dei limiti precedenti dovrebbero cogliere l’opportunità di infilarsi nei varchi creati da questa riforma. Anche qui il nostro premier ce ne ha dato un assaggio, facendo chiaramente capire che finalmente ci sono le risorse per tagliare nuovamente le tasse nel 2006.
Se così sarà, cioè se i governi saranno meno virtuosi che in passato, credo che il mercato punirà il lassismo mediante un rialzo dei tassi che tenga conto della diminuzione del merito di credito dei vari stati. E questo si rifletterà soprattutto sui membri finanziariamente più deboli perché più indebitati, cioè, nell’ordine, Grecia, Italia e Belgio, ben lontani dal rapporto Debito/PIL del 60%, che è rimasto l’obiettivo a cui tendere, glissando però sui tempi.
E’ facile previsione ipotizzare che, dopo che la stessa BCE ha duramente contestato i contenuti del nuovo patto evidenziando l’incentivo implicito al lassismo finanziario, presto le principali società di rating abbasseranno le loro valutazioni sui paesi più indebitati ed il mercato reagirà alzando gli spread dei titoli di stato di questi paesi nei confronti del Bund tedesco, in un momento che già di per sé potrebbe portare ad un sia pur graduale inasprimento dei rendimenti attuato dalla BCE, che dovrà prima o poi decidersi a seguire Greenspan.
Visto che ogni aumento di un punto percentuale pesa a regime sul nostro bilancio per circa 9-10 miliardi di euro in termini di maggiori interessi (circa il doppio dell’ultimo taglio delle imposte), siamo così sicuri che ci sia da esultare per la revisione del Patto di Stabilità?
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