La settimana scorsa ci ha dato un bel po’ di conferme, non tutte coerenti.
La prima è il rallentamento nel ritmo di crescita dell’economia americana, che è stato ribadito dala maggioranza dei dati macroeconomici pubblicati, alla faccia dell’ottimismo di maniera di Greenspan.
Il secondo è la ripresa dei prezzi del petrolio, che, dopo aver corretto la galoppata estiva passando abbastanza rapidamente dal massimo oltre 48 dollari fino al minimo di fine agosto appena sopra 41 dollari, hanno ricominciato a salire ed ora sono nuovamente più vicini a 48 che a 41, infischiandosene degli appelli, degli aumenti di produzione Opec e delle ottimistiche previsioni degli esperti.
La terza conferma è che il mercato obbligazionario ha sfruttato la debolezza degli indicatori macro per salire ancora un po’, scommettendo che il rialzo dei tassi da parte di Greenspan non sarà impetuoso.
La quarta conferma, che però non è affatto coerente con le precedenti, riguarda i mercati azionari mondiali, i quali invece di impaurirsi, mostrano di voler continuare il recupero che li ha portati nuovamente abbastanza vicini ai massimi dell’anno e quasi a contatto con le trend line ribassiste che hanno finora guidato la correzione sviluppatasi dai massimi di inizio 2004. Questi livelli costituiscono un ostacolo piuttosto rilevante, però i mercati si stanno avvicinando.
Occorre dare un’interpretazione a questi dati discordanti. Vedo abbastanza improbabile l’eventualità che i mercati credano all’ottimismo di Greenspan, per i motivi esposti la scorsa settimana.
Ho più l’impressione che i mercati salgano per inerzia, così come a luglio scendevano per la medesima legge fisica, in mancanza di dati chiari circa l’evoluzione futura del ciclo economico. A sostenerli, oltre ad una certa abitudine a convivere con il pericolo terrorismo e l’impermeabilità alle notizie di morti e bombe al di fuori dei paesi occidentali, penso che siano altri due fattori, entrambi legati alla statistica.
Il primo, politico, è una certa convinzione che Bush abbia recuperato il deficit di immagine rispetto allo sfidante che accusava fino a qualche settimana fa. Che questo sia successo più per l’incapacità di Kerry che per le doti di Bush non fa molta differenza. Il dato nuovo delle ultime settimane è che, pur nella volatilità degli esiti dei sondaggi, a seconda dell’istituto statistico che li svolge, è la parità o addurittura la supremazia del Presidente in carica. Visto che le Borse sono politicamente conservatrici (nel senso che prediligono sempre la stabilità di governo), la notizia è buona per i mercati.
Il secondo fattore è invece più semplicemente statistico. Gli americani, come si sa, sono impallinati delle statistiche e della stagionalità. Ognuno di loro sa che il mese di settembre è il peggior mese dell’anno per le Borse. I più grandi ribassi sono avvenuti in questo mese e la percentuale di segni meno nella performance mensile dei mercati è piuttosto alta in settembre. C’è però un’eccezione. Chissà perché, la statistica si ribalta negli anni elettorali. Quando ci sono le elezioni il mese di settembre va quasi sempre bene.
Quest’anno siamo proprio in quest’ultima situazione.
Pertanto potrei ipotizzare che la salita potrebbe ancora proseguire, almeno fino agli ostacoli rappresentati dalle resistenze indicate sopra. Saranno i prossimi giorni a dirci se ciò avverrà dopo un breve consolidamento per raccogliere le forze e spiccare l’assalto decisivo, oppure i mercati procederanno di slancio col rischio di arrivare al salto decisivo un po’ a corto di fiato e magari non farcela.
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