Bentornati dalle vacanze.
Riprendiamo l’appuntamento settimanale con una panoramica sull’andamento dei mercati, che ora si ritrovano non troppo lontani dal punto in cui li avevamo lasciati ad inizio luglio.
I due mesi estivi hanno avuto un andamento unpo’ a due facce, come spesso accade sui mercati. Dapprima luglio e la prima parte di agosto hanno mostrato la faccia cattiva dei mercati, con gli indici azionari di tutto il mondo in discesa fino ad avvicinare i minimi di marzo (i più fortunati come il nostro Mibtel) oppure a sfondarli (la maggior parte degli altri. A fomentare i ribassi, più che i delicati equilibri (che assomigliano molto a conclamati squilibri) nel territorio irakeno e le minacce di attentati di Al Quaeda, che non si sono poi materializzate, è stato il repentino rialzo del prezzo del petrolio, che, una volta sfondato il massimo storico di 41 dollari del ’90, ha raggiunto quasi i 50 dollari a barile (dai 32 di inizio anno ed i 27 di un anno fa). La crisi petrolifera ha innescato i timori inflazionistici, e ribaltato le sicurezze degli “esperti”. Fino a tre mesi fa non c’era nessuno che considerasse il pericolo di rialzi prolungati del prezzo del petrolio e tutti affermavano che le impennate erano dovute soltanto a “movimenti speculativi”, mentre nel medio periodo, una volta risolta la crisi irakena, i valori del greggio sarebbero tornati stabilmente sotto i 30 dollari.
L’estate ha portato alla luce che innanzitutto non è affatto certo che la crisi irakena, nonostante la fretta americana, si risolverà in fretta. La strategia dei terroristi, che ho chiamato nei mesi scorsi “petro-terrorismo”, consistente nel sistematico attacco agli oleodotti e alle imprese estrattive di greggio, per rallentarne ed ostacolarne la produzione, si sta rivelando qualcosa di più di una semplice minaccia ed ormai un giorno sì ed uno no si susseguono notizie di esplosioni di oleodotti.
A questo si devono aggiungere due altri fenomeni venuti alla luce soltanto ultimamente. I giacimenti di riserva dichiarati dalle maggiori multinazionali del greggio non è detto che siano così ingenti come esse vogliono far credere. Il caso della Shell, che è stata smascherata nel tentativo di sovrastimare i giacimenti, pone il solityo interrogativo se si tratti della classica mela marcia oppure se questo sia un atteggiamento diffuso nell’ambiente dei produttori. A pensare male, si sa, si fa peccato, ma spesso si indovina.
Inoltre comincia a preoccupare l’abitudine dei vari paesi produttori a superare le quote riservate dall’OPEC a ciascun aderente al cartello. Se già ora si estrae più di quel che è consentito, un eventuale ampliamento delle quote produttive rischia di ratificare semplicemente la situazione esistente. Insomma, sembra che grossi margini di aumento di produzione nei prossimi anni non ci siano proprio. Ecco perché le varie agenzie si stanno affrettando a ritoccare all’insù le previsioni sul prezzo medio per i prossimi 18 mesi, portandolo ora assai vicino ai 40 dollari.
Il dibattito si sta spostando ora sugli effetti che l’aumento imprevisto del prezzo del greggio potrà avere sull’inflazione. Prevalgono per ora gli ottimisti, che guarda caso sono ora i banchieri centrali. Sia Greenspan che Trichet non sembrano preoccupati di fiammate inflattive, sostenendo che le economie moderne sono assai meno schiave del petrolio (Italia a parte, naturalmente) di quanto non lo fossero in passato. Contribuisce a confermare quest’idea la strana immobilità degli indici dei prezzi al consumo nei mesi di impennata del petrolio.
Personalmente non sarei così ottimista. Potrebbe trattarsi di un semplice ritardo nell’adeguamento dei prezzi o di una certo strabismo delle statistiche ufficiali nel rilevare l’inflazione reale (dato che la percezione del semplice consumatore non è certo così benevola). Si vedrà.
L’altro fattore che ha raffreddato i mercati è stata la percezione che la crescita economica USA sta perdendo slancio e che il meglio sembra essere alle spalle. Avendo spinto i corsi azionari per oltre un anno su livelli che scontavano tassi di aumento degli utili notevoli e duraturi, non c’è da stupirsi che la doccia scozzese abbia spinto molti ad andare in vacanza con i soldi sotto il materasso.
Comunque sia dopo ferragosto i mercati azionari hanno rialzato la testa, recuperando ormai tra la metà ed i due terzi della scivolata estiva. Gli indici si trovano ora ad un bivio. La prosecuzione del rimbalzo trasformerebbe il movimento in un rialzo di medio termine con obiettivo nuovamente l’attacco ai massimi dell’anno. La discesa da questi livelli al di là dedl semplice consolidamento, darebbe una conferma della fragilità delle borse e renderebbe probabile una nuova onda ribassita alla ricerca di ulteriori e più profondi minimi.
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