La Tempesta cinese ha travolto il Toro
30/08/2015
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Negli ultimi commenti prima della pausa estiva avevo sottolineato l’incertezza nella battaglia in corso “tra il pessimismo della ragione e l’ottimismo della manipolazione. “
Possiamo ora affermare a voce alta che agosto ha risolto il dubbio, con la vittoria del pessimismo. Ed è stata una vittoria schiacciante, tanto che chi è andato in ferie, liquidando gli investimenti ad inizio agosto, ha ottenuto due risultati assai rilevanti: non ha perso soldi ed ha preservato le coronarie dalle terribili oscillazioni della volatilità, che ha dominato la seconda parte del mese.
A ben guardare, agosto è stato, negli ultimi anni, assai spesso un mese propenso agli scherzetti di volatilità. Ricordo che nei 5 anni precedenti a questo, altre 3 volte (nel 2010, 2011, 2013) si sono viste oscillazioni fuori dalla norma sugli indici azionari.
Questa volta l’innesco della mina che ha fatto esplodere la volatilità è venuto dalla Cina, a causa della ripresa del travolgente ribasso del suo mercato azionario, a cui si è unita l’inattesa svalutazione del yuan ad opera della Banca Centrale a ridosso di Ferragosto. Sono eventi certamente ben noti ai lettori che hanno seguito i giornali ed i tiggì. Quest’anno la “tragedia” dei mercati finanziari, con ampie descrizioni ed analisi, si è aggiunta a quella ben più concreta ed angosciante dei migranti, ed i nostri mezzi di informazione non hanno più dovuto ricorrere ai classici consigli su come difendersi dal caldo per riempire spazi e tempi di trasmissione.
Perciò non ripercorro, per non tediare, la successione di eventi occorsi in agosto, ma mi limito a fotografare la situazione attuale, così come ce la presentano i grafici settimanali, al fine di ipotizzare i possibili sviluppi in ottica di medio periodo.
Siccome tutti sono concordi a ritenere che qualcosa di significativo sia avvenuto, occorre stabilire se siamo in una fase di correzione, oppure possiamo parlare già di inversione primaria al ribasso e di fine della lunga festa che dal marzo 2009 ha accompagnato i principali mercati azionari.
Siccome si parla di correzione quando un movimento percorre al ribasso una distanza di almeno il 10% dagli ultimi massimi raggiunti, non c’è alcun dubbio che tutti i principali indici siano almeno in correzione, perché tutti hanno perso più del 10% dai rispettivi massimi.
I mercati emergenti hanno segnato tutti correzioni ben più significative, generalmente superiori al 20%. In prima linea vediamo l’indice cinese Shanghai Composite, che dal 12 giugno al 26 agosto ha lasciato sul terreno il 45% dal massimo. Tra i BRIC, solo l’indice indiano, con un -15% dai massimi, si è difeso abbastanza bene, riuscendo a mantenere il suo movimento ribassista all’interno di una correzione che, per ora, non si è ancora trasformata in inversione primaria. Pesantissimo è stato invece il calo dell’indice brasiliano (oltre il 25 % di correzione), per non parlare di quello russo, che è in calo dal 2011 ed ha più che dimezzato il suo valore di allora. Sebbene abbiamo da tempo puntato il dito sulle manipolazioni delle banche centrali e segnalato lo scostamento tra l’andamento dell’economia reale e quello dei mercati, ritroviamo in questa classifica dei perdenti una forte correlazione con la rispettiva situazione economica. Infatti dei 4 BRIC, solo l’India per ora è risultata indenne da problemi di crescita economica, e continua la sua marcia ad un buon ritmo, superiore al 7%. La Cina invece sta dando chiarissimi segnali di frenata, che le cifre ufficiali mascherano ancora al 7%, ma che gli osservatori indipendenti stimano in un 5% reale (qualcuno addirittura azzarda un 4%). E’ ancora tanto, se lo confrontiamo col il +0,7% previsto per quest’anno per l’Italia, ma poco per chi per la maggior parte degli anni del nuovo millennio ha avuto tassi di crescita a doppia cifra, e dopo il 1992 non ha mai subito un tasso di crescita annuo inferiore al 6%, nemmeno nel 2009, al culmine dell’ultima violenta crisi globale. Il Brasile è addirittura in recessione da 6 trimestri e quest’anno sta accentuando la caduta produttiva, mentre la Russia, a causa del crollo dei prezzi del petrolio e delle sanzioni occidentali per la guerra con l’Ucraina, è sprofondata quest’anno in recessione ad un ritmo superiore al -4%.
Non ho lo spazio ed il tempo per esaminare gli altri paesi emergenti. Mi limito a notare che soprattutto quelli asiatici e quelli che vedono dipendere la loro ricchezza dalle materie prime e dall’indebitamento in dollari hanno subito un’estate di passione, mediante il classico meccanismo di trasmissione del contagio partito dal rallentamento e dalla svalutazione cinese. La frenata cinese ha colpito i prezzi delle materie prime principali, mentre il dollaro forte da circa un anno ha peggiorato la situazione debitoria di questi paesi, rendendo il loro debito sempre più pesante. La svalutazione cinese di agosto ha poi ulteriormente peggiorato la competitività delle loro esportazioni nell’area asiatica e causato un tourbillon di svalutazioni competitive in risposta alla mossa cinese (Malesia, Vietnam, Indonesia, persino il Kazakistan), riportando sulla scena dei media la guerra valutaria mondiale che si combatte da qualche anno. Ricordo che nel mondo, da inizio anno, circa una sessantina sono stati gli interventi delle Banche Centrali e solo un paio di essi sono stati restrittivi. Tutti gli altri hanno varato provvedimenti espansivi tesi all’indebolimento della propria valuta. La conseguenza dello scossone valutario è stata la fuga dei capitali da queste aree, che ha abbattuto i prezzi sia delle obbligazioni che dei mercati azionari locali.
Parecchi osservatori si chiedono ora se sia possibile che si inneschi per alcuni paesi emergenti una situazione di crisi finanziaria simile a quella che nel 1997 colpì le tigri asiatiche. A mio parere, se la situazione cinese si avvitasse ulteriormente, e se proseguisse la fuga dal rischio che pare iniziata negli ultimi mesi, le possibilità ci sono, anche se la situazione debitoria è per molti emergenti è assai migliore di allora. Oggi però, diversamente da allora, grazie alla globalizzazione finanziaria spinta, che le banche centrali non sono in grado di controllare, dato che non riescono nemmeno a conoscerla appieno, i meccanismi di trasmissione dei contagi in tutto il mondo sono molto più rapidi e potenti di allora, come abbiamo potuto verificare in agosto.
Veniamo a USA ed Europa. La borsa americana ha vissuto una fase di acuta crisi isterica, dopo aver passato il periodo da febbraio a metà agosto in stretto trading range laterale, come raramente si era visto. Ora sappiamo che questa incertezza era di tipo distributivo, anche se la goccia che ha fatto traboccare il vaso in senso ribassista non è stato il rialzo dei tassi da parte della FED, ma il crollo e la svalutazione cinese. L’indice più rappresentativo del mercato USA, il mitico SP500, dopo aver inutilmente tentato in maggio, giugno e luglio di superare il forte ostacolo di area 2.130, il 18 agosto, quando la Cina ha svalutato improvvisamente la sua moneta, ha mollato gli ormeggi ed ha iniziato una impetuosa cavalcata ribassista, che in sole 6 sedute ha perso l’11%. La furia ribassista ha travolto ben due importanti supporti (area 2.040 e area 1.970), fermando la sua corsa sul minimo di 1.867, testato sia il 24 che il 25 agosto. La doppia tenuta ha favorito il rimbalzo, insieme alle misure da dittatura economica che le autorità cinesi hanno preso per fermare il ribasso. Cito, a tale proposito, come la più eclatante, la censura imposta contro la libertà di stampa, che ha vietato l’uso nei commenti economici di frasi che il regime considera dannose per il morale degli investitori, arrivando ad arrestare alcuni giornalisti che hanno parlato di disastro economico o hanno affermato che il governo è intervenuto per salvare i listini dalla caduta. Sono cose che mi hanno fatto molto riflettere e quasi apprezzare (!) il nostro Renzi, che si limita a dare del gufo a coloro che non si adeguano all’ottimismo governativo, che qualche giorno fa ha toccato l’apice della comicità, quando ha diffuso dati maldestramente taroccati sulla creazione di posti di lavoro pur di magnificare le virtù del Jobs Act.
Sta di fatto che il rimbalzo dei mercati americani, accompagnatosi all’analogo rimbalzo dell’indice cinese, ha trascinato anche la rimonta dei mercati azionari europei. La settimana borsistica si è così potuta concludere assai meglio di come sembrava svolgersi all’inizio. Sul grafico settimanale di SP500 si vede disegnato un Hammer, figura molto simile a quella che nei mesi di ottobre del 2011 e del 2014 ha esaurito le correzioni del mercato. Non possiamo escludere che anche stavolta i mercati possano far seguire alcune settimane di recupero come capitò allora. A dire il vero nelle due precedenti esperienze il mercato non si limitò a recuperare, ma andò ad iniziare un movimento rialzista in grado di sfondare i precedenti massimi. Questa volta ritengo però abbastanza improbabile che avvenga, dato che il terremoto agostano ha avuto magnitudine maggiore delle precedenti. Infatti l’indice VIX, che rappresenta la volatilità implicita sul mercato delle opzioni sull’indice SP500, ed è molto utile a misurare la paura del mercato, questa volta ha superato i 50 punti, un livello secondo soltanto alle vette raggiunte nel 2008 e 2009, e maggiore delle precedenti accelerazioni ribassiste del 2014, 2011 e 2010. Inoltre il grafico dell’indice SP500 non ha soltanto abbattuto i due importanti supporti precedentemente indicati, ma ha penetrato ampiamente la trendline che sosteneva il movimento dal 2012 (mentre nel 2014 la trendline funzionò da supporto).
Per quel che conta anche il contesto economico reale sembra essersi deteriorato ampiamente, anche se il Dipartimento del Commercio USA, proprio giovedì scorso, ha miracolosamente rivisto al rialzo al +3,7% annualizzato la stima del PIL USA del secondo trimestre. Sembra piuttosto difficile che il clima deflazionistico in cui sembrano essere precipitate nuovamente tutte le aree economiche ad eccezione degli USA, possa consentire all’economia USA il miracolo di crescere a ritmi sostenuti con il dollaro che si rivaluta e la desertificazione intorno. Senza dimenticare che, se la crescita si consolida, la FED alzerà i tassi, spingendo il dollaro ulteriormente al rialzo ed assestando un duro colpo ulteriore alle condizioni dei paesi emergenti e alla competitività delle imprese USA.
Pertanto tenderei a ritenere piuttosto alte le probabilità che il mercato azionario abbia invertito il trend primario e che ci aspettino nuove future scivolate, piuttosto consistenti.
Ora è presto per parlare di obiettivi ribassisti. Meglio attendere innanzitutto la conferma dell’inversione di tendenza primaria, che ora appare abbastanza conclamata, ma che gli enormi poteri manipolativi delle banche centrali e quelli occulti delle manine sante che intervengono nell’ultima mezz’ora di seduta, potrebbero negare ancora una volta il segnale grafico.
Possiamo però affermare che il grafico sembra averci consegnato un risultato inequivocabile: con la scivolata di agosto, l’equilibrio si è rotto ed il controllo è passato ai venditori.
Il mercato toro durato 6 anni e mezzo è finito con la fine del trend di lungo periodo. Per ripristinarlo occorre ora un rapido ritorno sui massimi. La formazione di massimi discendenti, seguita da nuovi affondi, confermerebbe il mercato orso, che oggi già si intravede.
Per dirlo in altri termini, sono i rialzisti ora a dover dimostrare fiducia nel futuro andando a comprare di più di quanto i venditori mettono in vendita. L’inerzia ora spinge verso il basso.
L’Europa, risolta (per modo di dire) la crisi greca, è tornata a guardare al tradizionale faro americano e ne sta ricalcando i movimenti. L’indice Eurostoxx50 è scivolato fino al vitale supporto di area 2.900, per poi rimbalzare con violenza negli ultimi giorni della scorsa settimana. Anche qui però il trend rialzista sembra ormai finito, fino a prova contraria, che avremmo al superamento di 3.720, livello ora piuttosto lontano.
Il nostro FIB si è comportato egregiamente durante la tempesta agostana ed è, incredibilmente, forse l’indice nelle migliori condizioni tra tutti quelli che abbiamo visto finora. Non possiamo infatti affermare con evidenza che il trend primario rialzista sia finito, almeno fino a quando non verrà rotto definitivamente il supporto di 20.900, che in settimana è stato prima sfondato e poi recuperato.
Certo, se tutt’intorno il contesto continuerà ad essere ribassista, non vedo come possa riuscire a rimanere a galla.
Ma se gli altri mercati riuscissero a rimediare alle ferite inflitte dall’orso, il nostro indice si candiderebbe ad essere quello in grado di volare meglio.