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IL PAESE DEI FURBI PIAGNONI
25/01/2004

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Quello italiano è un popolo conosciuto all’estero per la sua simpatia, ma anche per la sua scarsa responsabilità. L’opportunismo italico, che fa di noi i campioni mondiali della furbizia e della creatività, si accompagna alla tendenza al vittimismo quando le cose non vanno per il verso giusto. Per questo all’estero spesso ci considerano scarsamente affidabili.

A me pare abbstanza evidente che le cose che stanno succedendo in questi ultimi tempi non facciano che confermare la nostra cattiva reputazione.

Prendiamo il caso Parmalat detto anche del “risparmio tradito”. Che la “finanza creativa”, praticata per molti anni in quel gruppo tramite occultamenti di perdite e distrazione di fondi a danno degli azionisti di minoranza e dei creditori, si sia appoggiata su una vasta rete di complicità, collusioni o perlomeno omissioni da parte di società di revisione, banche ed autorità controllo, è un dato che sta emergendo con chiarezza dalle indagini della Magistratura. Ma quel che emerge anche è il chiaro tentativo, da parte di tutti, di praticare lo scarcabarile, ora che il gioco è stato fermato. Fin che funzionava andava bene a tutti. Ora si individua “il principe del male” in Calisto Tanzi, presentato da tutti i suoi collaboratori, dai consulenti e da tutti i suoi vecchi amici, come il cuore e la mente della truffa, riservando a se stessi il ruolo di vittime. Tentativo prontamente imitato anche dal sistema bancario, che si descrive vittuma di una truffa, quando tutti quelli che hanno stipulato un mutuo per la casa possono tranquillamente verificare quanti controlli le banche, quando vogliono, siano capaci di fare prima di prestare denaro. Non sfugge alla regola il mondo politico, che scarica le responsabilità sull’unica autorità di controllo giuridicamente esterna al mondo politico (la Banca d’Italia), dando così al permaloso Tremonti l’opportunità di regolare i conti con Fazio.

 

Ma ce n’è anche per i risparmiatori, per i quali tuttavia non si può generalizzare, essendo una massa tale da contenere ogni genere di situazione. Tuttavia oltre a quelli effettivamente traditi nella loro sprovveduta fiducia perché colposamente o dolosamente mal consigliati agli sportelli bancari o da promotori interessati più alle commissioni che alla tranquillità del cliente, non è raro vedere dietro i cartelli di protesta alle manifestazioni delle varie associazioni dei consumatori (che ormai sono un numero maggiore dei sindacati) anche investitori che hanno comprato bond a rischio per speculare sui rendimenti a due cifre o dalle basse quotazioni con la convinzione che “tanto non la lasceranno mica fallire…”.

L’altro argomento su cui abbondano i piagnistei e su cui negli ultimi giorni si è buttato persino il nostro liftato premier, è l’eurofobia. Sono mesi che nei bar si tende a dare la colpa all’euro per l’inflazione che si è prodotta negli ultimi anni in Italia (guarda caso solo da noi). In effetti è una sensazione piuttosto fondata l’esistenza di una tassa occulta che la gente paga da quando è scomparsa la cara vecchia liretta, sotto forma di aumento dei prezzi del tutto ingiustificati. Ma chiunque sappia andare al di là degli argomenti da Bar Sport è cosciente che dare la colpa all’euro per l’inflazione italiana è come dare alla pistola la colpa di un omicidio o all’automobile la colpa per il divieto di sosta. Dietro gli aumenti dei prezzi ci sono i comportamenti di milioni di italiani troppo furbi, quelli che ogni giorno stabiliscono i prezzi dei prodotti e dei servizi che vendono, che hanno approfittato, dapprima con gli arrotondamenti, ora con il ritornello “da quando c’è l’euro…” per ritoccare i loro guadagni. Ma ci sono anche (e sono ancora di più) gli altri milioni di italiani, troppo allocchi, che hanno subito i rincari senza battere ciglio. A tutti adesso fa comodo date la colpa all’euro, ai primi per non farsi vedere troppo furbi, ai secondi per non sembrare troppo stupidi. Passare per truffatore non piace a nessuno, ma nemmeno passare per truffato.

Non fa eccezione il beneamato Cavaliere, che i giornali stranieri hanno ridefinito come “l’uomo rifatto da sé”. Ancora una volta, da buon populista, ha colto l’attimo per odeggiare, come ha fatto già più di una volta, dall’eurofilia all’eurofobia. Nel ’96, quando era all’opposizione, criticava l’adesione all’euro fin dall’inizio, perché l’avevano decisa Prodi e Ciampi. Nel 2001, avendo gestito da premier il passaggio dalla vecchia alla nuova moneta ne diventò l’entusiasta cantore, senza dimenticare di prendersi meriti non suoi. Ora, dopo aver fatto qualche sondaggio nei bar, è tornato ad esserne il fiero oppositore, nonché la vittima, lui ed il suo sgangherato governo, di tutte le sventure causate dalla moneta unica all’economia nazionale.

Meriterebbe che si potesse tornare indietro di 8 anni e che gli fosse data la possibilità di rifiutare l’euro e tenersi la lira, per poi vedere come avrebbe gestito questi anni, con interessi da pagare sul debito pubblico non del 3%, ma del 9-10%, con la fuga, anziché il ritorno, dei capitali dall’Italia, con la lira sbattuta di qua e di là dalla speculazione internazionale ed il nostro paese a rubare spazio sui giornali all’Argentina.

Già, che cosa avrebbe escogitato? Il lifting?

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