Era troppo facile essere profeti di sventura dopo il caso Parmalat. Per l’entità e le modalità con cui si è costruito il castello di carte false, misermente crollato qualche settimana fa, non si poteva pensare ad un caso isolato. Troppe sono state le complicità e le negligenze da parte di chi doveva controllare per pensare che il metodo Tonna si applicasse solo ed esclusivamente a Collecchio.
Infatti la settimana scorsa la magistratura ha portato alla luce il secondo caso conclamato di “parmalattosi”, che ha colpito niente meno che la regina dei sogni della new economy, la mitica Finmatica.
Ricordate a novembre del 1999, quando l’ingresso al Nuovo Meercato di questa società che si occupa di software bancario fece sognare milioni di italiani e diede lavoro ai giornalisti, indaffarati a raccontare le storie dei tanti neo ricchi, baciati dalla fortuna e sorteggiati nell’assegnazione del lotto minimo di azioni in sede di OPV?
Il titolo venne collocato a 3,50 Euro ai pochi fortunati tra i milioni di italiani in coda nella richiesta di assegnazione ed il primo giorno di quotazione fece segnare un prezzo di chiusura dieci volte superiore, ad oltre 39 Euro. Un vero boom, ma addiruttura bazzeccole in confronto a quanto successe nei quattro mesi seguenti, dove, con una scalata degna del miglior Messner, il titolo raggiunse il suo massimo storico a 191,50 Euro. La moltiplicazioene facile dei soldi sembrava allora lo sport nazionale.
Ciò che è successo dopo l’abbiamo sotto gli occhi. “La Borsa dà, la Borsa prende”, recita un vecchio detto e questo ci ha insegnato anche la storia di Finmatica, che tra crolli e rimbalzi è tornata vicina al prezzo di collocamento ed ora subisce l’onta dell’indagine della Magistratura bresciana, che ha arrestato Presidente ed Amministratore Delegato e si dedica ora alla caccia di operazioni di occultamento di perdite e distrazione di fondi da parte degli amministratori, cioè gli stessi sintomi della Parmalat. Triste destino, che forse i risparmiatori avrebbero potuto immaginare prestando la dovuta attenzione al cognome del Presidente e fondatore della società, che, guarda caso, si chiama Crudele. Ora le azioni sono sospese e chissà quando verranno riammesse. In questi casi, cioè quando vengono alla luce eventi devastanti ed improvvisi, la consuetudine della Consob di sospendere la quotazione in Borsa si presta a più di una critica. E’ vero che da un lato impedisce che il panico generi avvitamenti e crolli quando sono soltanto voci incontrollate a predicare sventura (i cosiddetti rumors), magari messe in giro da speculatori fraudolenti (il reato si chiama aggiotaggio e ricorre assai spesso, anche se non viene punito quasi mai) e destinate a rientrare in pochi giorni. Sembra questo (almeno spero) il caso in questi giorni delle voci su Tiscali, che sembrano al momento infondate. Tuttavia quando dietro le voci ci sono delle notizie reali la sospensione del titolo dalle contrattazioni impedisce ai risparmiatori più rapidi di disfarsi del titolo e li mantiene intrappolati fino a quando scopriranno che stanno stringendo in mano un pugno di mosche.
Intanto in questi giorni prosegue la crisi di fiducia verso tutte quelle società quotate caratterizzate da forte indebitamento, sulle quali si abbattono le vendite nervose di chi teme l’estensione del contagio. Dopo i casi Benetton, Merloni, Tiscali, già citati la scorsa settimana, possiamo ora aggiungere, solo per citarne qualcuna, Impregilo, Cremonini, Finpart, Montefibre, Beghelli, e sul Nuovo Mercato Tc-Sistema, Buongiorno Vitaminic, Data Service, TXT.
E’ molto probabile che qualcuna tra queste abbia la parmalattosi, ma è certo che non ce l’hanno tutte. Come sempre avviene in questi casi, qualcuno in questi giorni sta regalando soldi. Ma c’è poca gente disposta ad allungare la mano a prenderli, poiché tutti temono che siano falsi.
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